di Daniele Cini
Mio zio Giulio Poli è morto a più di novant’anni, nel suo letto, accudito con grande affetto e molta cura, relativamente con poca sofferenza fisica, che io sappia.
In nessuna delle mie visite durante questi 21 mesi, l’ho mai sentito lamentarsi.
Si può dire che sia stato un uomo fortunato.
Eppure, sappiamo tutti che la sua vita, così intensa e piena di avvenimenti, non è stata certo accompagnata dalla buona sorte.
A cominciare dal giorno in cui i nazisti hanno ucciso due dei suoi compagni di scuola e altri 9 giovani antifascisti, alla morte improvvisa di suo padre e poi di Mariagrazia, madre dei suoi figli fino alla tragica perdita di Nicola, sembra anzi che sia stato condannato a subire la morte dolorosa delle persone a lui più care.
Ma l’immagine che ho davanti di mio zio è quella di un uomo che ha deciso di non piangere mai, di non lasciarsi piegare, come se avesse ingaggiato una lotta contro il destino, in cui se avesse vacillato avrebbe perso.
L’immagine dello zio che non salta mai una commemorazione, un funerale, che scrive solo libri per non perdere la memoria dei suoi familiari, del passato.
Ecco, il culto – sacrosanto, naturalmente – del passato, ma che ricorda un po’ quell’angelo di Walter Benjamin, che cammina controvento guardando sempre indietro.
Perché, a me sembra, che in mio zio ci fosse sempre un senso tragico e anche sommamente etico della vita, da comunista qual è sempre stato, in cui certe cose si debbono fare e basta, al di là della propria emozione o delle proprie fragilità, con un giudizio su di sé e sugli altri molto netto e a volte impietoso.
Sembra strano, per chi lo ha conosciuto, che una persona così deliziosa, lieve, piena di senso dell’umorismo come era Giulio, convivesse con questo peso, questo divieto a lasciarsi andare, a permettersi di confessare uno sbaglio.
Forse esagero: in fondo io, che lo ho amato moltissimo, non l’ho mai conosciuto fino in fondo. Ma imparando a guardarlo più da vicino, anche nei racconti di sua moglie Mirose e di sua figlia Valentina, mi sono fatto l’idea che mio zio si sia reso la vita ancora più difficile – e l’abbia anche resa difficile a chi gli è stato vicino – per questo “divieto a confessare le proprie debolezze e quindi anche a tollerare le contraddizioni degli altri.
Rimane il fatto che Giulio è stato un grande personaggio, una figura che per molti – e a me fra i primi – resterà indimenticabile.
La sua passione politica e il rigore del suo impegno professionale, la capacità di rendersi simpatico a tutti e allo stesso tempo di non farsi condizionare nelle scelte, la gioconda creatività con cui ha cresciuto noi nipoti, la cura nel conservare gli affetti con gli amici.
Era una personalità molto forte, a volte ingombrante e con una smania di controllo, ma con una grande capacità di autoironia e di ascolto.
Io ho troppi ricordi per poterli racchiudere in poche parole e troppo pochi per rendergli merito, nel raccontare le tante cose che ha vissuto.
Ma vorrei citare almeno un sentimento: la gioia di ricevere le cartoline postali, spedite in tanti anni da ogni posto in cui viaggiava: sempre spiritose, originali, che sembravano pensate apposta per me.
Ecco, mi sono sentito sempre amato da lui, direi più che da mio padre.
Negli ultimi tempi, dopo i grandi dolori e le delusioni della politica, lo zio mi è sembrato più adattabile, forse solo più assente.
La fortuna di incontrare una donna come Mirose, con la sua forte personalità, a volte dura, ma sempre così umana, presente e acuta, gli ha permesso di passare gli anni della maturità e della vecchiaia con la testa sempre lucida, ed essere accudito con amore, fino alla fine.
Io gli devo moltissimo, della mia personalità e della mia formazione, proprio di come sono fatto.
E’ davvero come se se ne fosse andato via un pezzo di me.
E penso soprattutto a Mirose e a Vale, ma anche a Francesco, Giulio e Ale, a mia sorella Francesca e ai tanti altri pezzi di emozioni vissute che se ne vanno via con lui.
E che però, nel nostro ricordo, continueranno ad accompagnarci per sempre se noi lo vogliamo, come quelle palle di vetro a lui tanto care, in cui cade la neve, ogni volta che proviamo a girarle.
Ciao, zio, buon viaggio.