di Mario Dogliani e Francesco Pallante
1 – Del saggio di Armin Von Bogdandy e Michael Ioannidis[1] viene qui presentato solo un profilo parziale: quello che sottolinea le profonde differenze che intercorrono tra i paesi dell’Unione europea dal punto di vista del loro effettivo essere “stati di diritto”. Differenze che, da un lato, inaspriscono gli effetti della crisi economica nei paesi “deficitari” – Grecia e Italia (fra i “vecchi” aderenti), Bulgaria e Romania (tra quelli nuovi) – e che, dall’altro, contestualmente, determinano nell’Unione stessa un “deficit sistemico”: una difficoltà di funzionamento derivante dalle troppe, e strutturali, diseguaglianze trai suoi membri. Non ci soffermiamo, invece, dato lo scopo di questa presentazione, sulle parti del saggio di carattere giuridico volte a illustrare la stessa rilevanza del concetto di deficit sistemico nella interpretazione del diritto dell’ UE ai fini della individuazione/elaborazione degli strumenti di cui la UE dispone, o potrebbe disporre, per reagire a tale deficit.
2 – La diagnosi è lineare:
a) «L’integrazione europea, in base all’art. 2 Tue, si fonda sui “valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani”». Questi principi costituzionali dovrebbero caratterizzare la struttura costituzionale dell’Unione europea perché così vogliono i Trattati, ma soprattutto perché sono presunti come effettivamente già caratterizzanti gli Stati membri. Solo «ai Paesi che si candidano a entrare nell’Unione viene richiesto di assicurare il rispetto di questi principi (art. 49 Tue); per gli Stati membri sussiste invece la presunzione legale che essi siano pienamente rispettati». Questa presunzione è la fonte sostanziale della legittimità dell’Ue. Ma «recentemente si sono registrati alcuni fenomeni d’illegalità tanto marcati e diffusi da rischiare di revocare in dubbio i principi fondamentali consacrati nell’art. 2 Tue». Carenze diffuse in modo capillare, che non possono non colpire l’UE nel suo complesso e far parlare di una «dimensione sistemica della crisi costituzionale nell’area giuridica europea, sia a livello degli Stati membri che a livello dell’UE».
I due autori indagano specificamente la difficoltà di «alcuni Stati membri di rispettare e mantenere in vigore il principio dello Stato di diritto. […] Numerosi rapporti sulla Repubblica ellenica hanno messo in luce serie fragilità nel suo apparato amministrativo e giudiziario. La corruzione endemica e la straordinaria lentezza dei procedimenti giudiziari sono stati additati come fattori che hanno contribuito al malessere economico della Grecia».
La descrizione della crisi in Grecia in termini di debolezza dello Stato «non solo è comune nel dibattito pubblico, ma si rinviene in molti rapporti ufficiali, sia europei che internazionali. L’inefficienza strutturale e la mancata attuazione di politiche adeguate sono state considerate come “a major and debilitating weakness” dalla EU Task Force, istituita dalla Commissione per supportare gli sforzi di riforma e per assistere l’esecuzione dei programmi di aggiustamento concordati con l’Unione europea e il Fondo Monetario Internazionale. […] Le revisioni periodiche dell’Ue e del Fmi sul progresso delle riforme, poste come precondizione per l’assistenza finanziaria, hanno inoltre rivelato debolezze dell’apparato statale nell’adempiere alle misure approvate dal parlamento e dal governo greci nonché nel tenere fede agli accordi conclusi con i partner europei ed internazionali. […] Ma non è solo durante la crisi che gli attori internazionali hanno espresso le loro preoccupazioni con riferimento alla capacità dei pubblici poteri greci. L’Ocse ha fatto spesso riferimento alla “inadequate capacity of ministries to carry reforms into the implementation stage”».
Molte di queste preoccupazioni sono sorte anche con riguardo a un altro “vecchio” Stato membro dell’Ue: la Repubblica italiana. «Il progetto World Bank Worldwide Governance Indicators fornisce una conferma delle differenze tra Italia e Grecia e gli altri Paesi dell’Unione in termini di capacità giudiziaria e amministrativa. La Grecia, assieme all’Italia, si pone considerevolmente al di sotto della media europea in termini di efficacia dell’azione di governo, di controllo della corruzione e di rispetto del principio dello Stato di diritto. Con riferimento a quest’ultimo criterio, e in particolare alle misure in cui “agents have confidence in and abide by the rules of society, and in particular the quality of contract enforcement, property rights, the police, and the courts, as well as the likelihood of crime and violence”, Grecia e Italia si pongono agli ultimi posti non solo del gruppo degli Ue-15, ma anche di quello cui appartengono tutti i nuovi Paesi post-allargamento del 2004, con le sole eccezioni di Bulgaria e Romania. Con riferimento al controllo della corruzione, Grecia e Italia si pongono tra gli Stati membri “extreme outliners”. Questa situazione non si può spiegare solo con le difficoltà economiche: sia Spagna che Portogallo, Paesi che pure stanno affrontando sfide economiche impegnative, presentano performance migliori in questi ambiti».
La debolezza delle istituzioni giudiziarie di Grecia e Italia emerge anche dalle statistiche del Consiglio d’Europa in riferimento a condotte che costituiscono «violazioni del principio dello Stato di diritto, come procedimenti giudiziari eccessivamente lunghi e la carenza o il ritardo dell’amministrazione nel dare esecuzione alle decisioni passate in giudicato».
«Grecia e Italia sono state ripetutamente oggetto di attenzione da parte degli organi del CoE». «L’Italia occupa il primo posto nell’elenco dei Paesi che hanno sentenze non eseguite, tuttora pendenti davanti al Consiglio dei Ministri. Nella decisione sulle Structural Deficiencies in States Parties del 7 gennaio 2013, l’Assemblea parlamentare del CoE ha posto l’Italia e la Grecia nella lista dei Paesi che affrontano “major and complex structural deficiencies” nel dare esecuzione alla Convenzione, rilevando l’eccessiva lunghezza dei procedimenti giudiziari e la cronica inottemperanza delle decisioni giudiziarie nazionali. Grecia e Italia sono gli unici Stati membri pre-allargamento del 2004 a essere specificatamente menzionati in quella risoluzione […] Naturalmente, analoghi report esistono anche per altri stati europei. Sembra, tuttavia, che due elementi contraddistinguano i casi di Grecia e Italia: primo, l’inefficacia è strettamente connessa all’incapacità di assicurare il rispetto del principio dello Stato di diritto; secondo, le criticità si concentrano non su specifici campi o casi isolati, ma si riferiscono a carenze strutturali e persistenti, e quindi sistemiche».
Senza qui soffermarci sul noto caso greco, va sottolineato che «problemi analoghi sono stati riscontrati nei rapporti dell’Ue su Bulgaria e Romania, che hanno evidenziato “debolezze strutturali” dovute al crimine organizzato, alla corruzione e alla fragilità dell’apparato giudiziario»: il che ha portato all’istituzione di una specifica procedura di vigilanza sul rispetto del principio dello Stato di diritto (Pvsd).
b) Essendo il concetto di stato di diritto «uno dei più elusivi (dal momento che i suoi caratteri vanno dalla presenza di forti istituzioni pubbliche, alla certezza del diritto fino alla giustizia sostanziale)» i due autori ne assumono – come emerge dai casi prima illustrati – il significato più ristretto: quello che «impone come condizione minima che il diritto sia effettivo. Lo Stato di diritto sussiste quando il diritto è, in linea di massima, in grado di guidare la condotta dei soggetti cui si rivolge, siano essi titolari di funzioni pubbliche ovvero privati cittadini. Questo è il cuore, il minimum weberiano generalmente riconosciuto del principio. Le autorità pubbliche devono agire in conformità alle norme costituzionali, inclusi i diritti fondamentali e le regole generali che sono state poste dagli organi competenti, principalmente parlamentari, e devono assicurare che la legge venga rispettata anche dagli attori privati. Tale principio è messo in discussione non solo quando i tribunali e le autorità amministrative agiscono in modo contrario alla legge, ma anche quando falliscono nell’assicurarne l’osservanza da parte dei privati, per mancanza di volontà o di risorse».
Tutti gli strumenti «finalizzati a favorire l’osservanza e l’applicazione del diritto europeo negli Stati membri (che ne sono i principali destinatari) – dal momento che la UE «affida agli Stati il compito di realizzare gli obiettivi previsti dai Trattati dell’Ue» – «sono destinati a rimanere privi di effettività quando le istituzioni di uno Stato membro non vogliono, o non riescono a osservare il principio di Stato di diritto nazionale a causa di corruzione, di deboli capacità istituzionali o d’insufficienti risorse a livello amministrativo e/o giudiziario».
c) Il concetto di deficit sistemico si fonda essenzialmente sull’art. 7 Tue[2], che però prevede un meccanismo sanzionatorio molto severo, e forse proprio per questo inappropriato.
Anche il diritto del Consiglio d’Europa, attraverso la Corte Edu e il Comitato dei Ministri, ha «elaborato la nozione di problema «sistemico» o «strutturale» per distinguere le violazioni della Convenzione «semplici», episodiche, dalle inefficienze nazionali sistemiche, cui si può rimediare solo mettendo in atto cambiamenti istituzionali di tipo “strutturale” [… essendo] associati a un malfunzionamento del sistema giuridico nazionale»
Il problema di entrambi i meccanismi – quello previsto dall’UE e quello previsto dal Consiglio d’Europa – è che sono eccessivamente rigidi, sia perché attivabili solo in situazioni di particolari gravità, sia perché eccessivamente drastici e tali da generare fratture difficilmente sanabili in comunità sovranazionali o internazionali.
d) Il problema è dunque quello di introdurre un concetto che da un lato aiuti a definire situazioni che non si riducono a mancanze occasionali, ma esprimono un malfunzionamento strutturale; e che, dall’altro, sostenga e legittimi politiche volte a indurre mutamenti duraturi.
L’idea che esce sconfitta dall’attuale modo d’essere della UE è la stessa che risultò sconfitta dal compimento della unificazione italiana: l’idea che basti realizzare l’unità istituzionale (politica in senso debole) perché tutte le parti dell’area unificata realizzino uno spontaneo adeguamento verso l’alto, verso le condizioni di civiltà migliori in alcune aree praticate.
Seguendo Weber i due autori sottolineano – conformemente alla definizione minima di “stato di diritto” adottata – l’importanza del diritto nel ridurre l’incertezza all’interno di un ambiente sociale di per sé incerto. Il che significa che i singoli possano agire prevedendo che alcuni sviluppi futuri siano più probabili di altri: «Per usare un’espressione diversa, la funzione essenziale del diritto consiste nel generare fiducia». «Tuttavia, se le violazioni diventano rilevanti e regolari e rimangono spesso prive di risposte sanzionatorie, questo circolo virtuoso s’interrompe e si innesca una dinamica opposta. Nei sistemi in cui le istituzioni sono regolarmente considerate incapaci di reprimere le infrazioni alla legge a causa della corruzione, della mancanza di volontà, per debolezza istituzionale o ancora per la carenza delle necessarie risorse, le aspettative normative si indeboliscono. In termini più chiari: il valore dello Stato di diritto è minacciato quando un significativo numero di attori, in settori importanti della società, smette di affidarsi alle istituzioni pubbliche per pretendere, per esempio, che un contratto venga eseguito entro un termine ragionevole o che le imprese concorrenti rispettino le norme sulla tassazione, sull’impiego, o sulla protezione ambientale, o ancora che comportamenti ufficiali irregolari vengano sanzionati. Raggiunto questo limite, il sistema giuridico fallisce nell’esercitare la sua funzione principale, ossia mantenere aspettative affidabili. Questo è quello che chiamiamo un deficit sistemico dello Stato di diritto. […] Nel caso di non osservanza sistemica […] si perde la fiducia nel diritto in generale e le aspettative normative non vengono mantenute. Di conseguenza, le persone che agiscono in un contesto di deficit sistemico modificano le loro aspettative invece di insistere nelle stesse. Delusa e probabilmente offesa, la collettività non si aspetta più l’osservanza della legge in importanti settori della società. L’insostenibilità delle aspettative, dovuta all’indebolimento dello Stato di diritto, si traduce quindi in una perdita di fiducia nelle istituzioni pubbliche».
e) Per uscire dalla vaghezza di molti dei concetti sin qui utilizzati gli autori propongono «un passo in avanti con l’aiuto di indicatori presi in prestito dalle scienze sociali […]. Per esempio, il progetto Worldwide Governance Indicators (WGI), sostenuto dalla Banca Mondiale e attualmente una delle compilazioni più influenti di dati trasversali sullo stato dei governi, utilizza, inter alia, i criteri del “controllo della corruzione” (Control of Corruption), della “qualità regolatoria” (Regulatory Quality), dello “Stato di diritto” (Rule of law), e dell’“efficacia dell’azione di governo” (Government Effectiveness), per saggiare lo stato di salute delle istituzioni dei diversi Paesi. Il progetto World Justice (WJP), condotto da un’organizzazione indipendente e non-profit che compila tra l’altro un Rule of Law Index, utilizza indicatori che rientrano in otto categorie: poteri governativi limitati per legge, assenza di corruzione, ordine e sicurezza, diritti fondamentali, governo aperto, efficacia dell’azione amministrativa, regulatory enforcement, giustizia civile, giustizia penale e forme di giustizia informale».
Sulla base di queste classifiche globali, «tutti gli Stati membri dell’Ue occupano posizioni relativamente buone, anche se con significative differenze, e non possono essere certamente considerati deboli in base agli standard internazionali. Tuttavia, l’eventuale debolezza istituzionale degli Stati membri dell’Ue deve essere valutata secondo criteri europei e non globali. […] Ciò deriva […] anche dal fatto che numerose disposizioni europee, siano esse sulla sicurezza dei prodotti, sulla protezione dell’ambiente, sull’imposta sul valore aggiunto o sull’immigrazione, a causa della loro complessità, per essere attuate richiedono un coinvolgimento più intenso delle amministrazioni domestiche e dei tribunali nazionali rispetto a molte norme internazionali.
Ma l’aspetto che va soprattutto sottolineato è che, «a causa sia della forte integrazione sia della vicinanza territoriale degli Stati membri dell’Ue, le esternalità negative derivanti dai deficit sistemici in alcuni Paesi rilevano in modo maggiore per tutti gli altri Stati membri, rispetto alle ripercussioni che possono derivare dalle carenze che si possono verificare in stati posti in parti lontane dall’Europa. All’interno del mercato interno, le imprese che sono in grado di evadere le gravose regolamentazioni su tasse, ambiente e impiego acquistano un vantaggio dirompente. Anche con riguardo all’immigrazione e all’asilo, l’incapacità di alcuni Stati di vigilare sui propri confini e di dare efficacemente seguito alle richieste di asilo può avere conseguenze particolarmente gravi per il resto degli Stati membri».
In questo quadro «una forma di esternalità, molto attuale e specifica, è quella che si è verificata nel corso della crisi finanziaria. Molti commentatori attribuiscono grande importanza alla debolezza del principio dello Stato di diritto per spiegare l’attuale situazione economica. Per esempio, l’inefficienza delle autorità greche nel far rispettare le leggi tributarie, specialmente con riferimento a determinati settori della società, è una delle cause delle sue recenti sventure finanziarie, che hanno avuto serie ripercussioni all’interno dell’Ue. I problemi strutturali di effettività del principio dello Stato di diritto sembrano, inoltre, essere tra le ragioni degli scarsi investimenti esteri in Grecia. Quindi, la debolezza del principio dello Stato di diritto s’inserisce in una situazione in cui alcuni governi nazionali si vedono obbligati a fornire supporto finanziario ad altri Stati membri, anche in assenza di un espresso obbligo giuridico in tal senso. Forse questo è un aspetto della “solidarité de fait” che Robert Schuman aveva in mente quando parlava di integrazione europea. È indubbio che l’integrazione dell’Ue, e soprattutto l’Unione monetaria, abbiano innescato un livello di interdipendenza finanziaria che impone il rispetto più rigoroso del principio dello Stato di diritto».
3 – Sotto un profilo più “pratico”, il concetto teorico di deficit sistemico nello Stato di diritto è all’origine dell’introduzione nel sistema europeo di una serie di meccanismi rivolti a far fronte a situazioni statuali gravemente deficitarie rispetto agli standard europei (è il caso, per esempio, di Romania e Bulgaria).
Come già detto, nell’ambito dell’Ue, «il meccanismo più naturale per far fronte a queste situazioni sarebbe quello previsto all’art. 7 Tue, secondo il quale gli Stati membri che presentano deficit sistemici possono essere anche sospesi dall’esercizio di alcuni dei loro diritti». Tuttavia «è difficile ritenere che la sospensione dei diritti di uno Stato membro possa ristabilire la vigenza del principio dello Stato di diritto e risolvere il problema di una radicata debolezza istituzionale» e, d’altro canto, non si può non temere che una misura del genere indebolisca i sentimenti che spingono verso l’“e pluriubus unum”. «Per questi motivi, le stesse istituzioni europee hanno avvertito la necessità di individuare ulteriori meccanismi per rispondere a queste ipotesi».
I meccanismi più rilevanti sono «la nuova procedura di vigilanza sul rispetto del principio dello Stato di diritto (Pvsd) di recente istituita dalla Commissione» e, con valenza più specifica, il «sistema speciale di ‘cooperazione e verifica’ previsto per Bulgaria e Romania». A essi si aggiungono «gli Economic Adjustment Programmes istituiti per gli Stati membri che ricevono assistenza finanziaria» e «il concetto di deficit sistemico utilizzato dalla Cgue per ripartire la responsabilità tra gli Stati membri nelle decisioni sulle richieste d’asilo». Di questi ultimi due gli autori non si occupano nell’articolo qui illustrato: «qui interessa invece analizzare quella parte di questi programmi che hanno come obiettivo il miglioramento dell’efficacia degli apparati giudiziari ed amministrativi nazionali».
Tralasciando il caso specifico di Bulgaria e Romania, ci si può concentrare sul Pvsd. «Nel marzo 2014 la Commissione ha pubblicato la Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, dal titolo Rispettare e promuovere i valori sui quali è fondata l’Unione: un nuovo quadro normativo per salvaguardare lo Stato di diritto. Sebbene essa non autorizzi l’emanazione di nuove misure vincolanti, rafforza però in modo sostanziale il ruolo dell’Unione in tale ambito. La comunicazione istituisce un procedimento che precede l’avvio del meccanismo di cui all’art. 7 Tue e introduce un controllo generale e continuato: si tratta della procedura di vigilanza del rispetto del principio dello Stato di diritto (Pvsd). Essa non solo rappresenta un nuovo strumento ma, al contempo, costituisce un grande passo verso l’integrazione politica. … Tre elementi caratterizzano il nuovo strumento. Il primo è il suo univoco collegamento con il principio di Stato di diritto. Tale meccanismo non può quindi essere utilizzato per tutelare tutti i valori di cui all’art. 2 Tue, ma solo per violazioni del principio dello Stato di diritto, qui inteso in senso ampio, ossia quale “principio fondamentale per gli altri valori”. Sebbene il nuovo quadro non contenga una definizione di Stato di diritto […] la Commissione indica, con finalità esemplificativa, sei elementi che rientrano in tale principio: certezza del diritto, divieto di arbitrarietà del potere esecutivo, controllo giudiziario effettivo ed indipendente, diritto a un giusto processo, separazione dei poteri e uguaglianza innanzi alla legge».
Il secondo aspetto che caratterizza la nuova procedura consiste nel fatto che «singole violazioni non sono sufficienti ad attivare la procedura nei confronti di uno Stato membro. Il suo avvio è concepito per casi estremi che compromettano “sistematicamente l’integrità, la stabilità o il corretto funzionamento delle istituzioni e dei meccanismi di salvaguardia istituiti a livello nazionale per garantire lo Stato di diritto”. La Commissione utilizza, per questi casi, il concetto di “disfunzione sistemica”.
Il terzo elemento che caratterizza la Pvsd risiede nel fatto che essa assegna alla Commissione un ruolo più incisivo rispetto a quello assegnatole dall’art. 7 Tue. Infatti, nel caso della Pvsd la Commissione procede in maniera autonoma, senza l’intervento di altre istituzioni».
* * *
Nuvole ha deciso di pubblicare questa epitome perché pone una domanda radicale, di fronte alla quale i discorsi vertiginosi sulle cause economiche della crisi, e i non-discorsi sulle cause specifiche della particolare gravità della crisi italiana, suscitano, negli epitomatori, anche sentimenti di fastidio.
La domanda radicale è semplicissima: perché l’Italia è in queste condizioni di illegalità diffusa, di corruzione, di evasione fiscale, di malfunzionamento amministrativo … che la rendono vulnerabile, che funzionano da moltiplicatori della crisi, che la rendono non credibile, imbelle o financo ridicola?
Quale male oscuro ci impedisce di avere dei civil servants che adempiano alle loro funzioni con disciplina ed onore? Perché la questione è tutta lì: sono gli uomini che fanno funzionare le istituzioni.
Non ci sarebbe un orizzonte amplissimo di politiche profonde – non di slogan – da pensare?
Ma un dubbio si insinua.
Un piccolo esempio: costituisce un dogma dell’attuale vulgata la lamentela per l’eccessivo carico giudiziario. Per “deflazionare” tale montagna, il Parlamento, sotto la vigile guida dell’attuale Governo, ha pensato bene di abolire la possibilità di compensare le spese legali (il che ha un particolarissimo rilievo nelle cause di lavoro), abrogando un istituto generale che vigeva nel nostro ordinamento unitario dal 1865 (fascismo compreso).
Ma “deflazionare” che cosa?
Nel 1880 (primo anno delle rilevazioni statistiche complessive) i procedimenti civili sopravvenuti, in primo grado, erano 1.348.550, con un tasso di litigiosità del 45,7 per 10.000 abitanti.
Nel 2008 erano 1.388.688, con un tasso di litigiosità del 23,2 per 10.000 abitanti.
Dopo 150 anni l’ammontare della litigiosità complessiva è sostanzialmente la stessa, e il tasso di litigiosità dimezzato.
Che cosa, dunque, esattamente, bisogna colpire, nel moderno ordinamento informatizzato…, per combattere i tempi lunghi, le sciatterie …?
E bisogna proprio colpire, e in modo sostanziale, la possibilità di instaurare le cause di lavoro, inducendo il timore – non nelle cause temerarie, ma in quelle normalissime – di dover pagare salatissimi costi?
Non bisognerebbe scavare un po’ più nel profondo sullo stato reale delle cose e sullo stato reale delle intenzioni di chi governa?
[1] Pubblicato in «Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico», fasc. 3, 2014, pp. 593 ss., con il seguente sommario: 1. Il deficit sistemico come aspetto della crisi costituzionale. – 2. Il deficit sistemico: basi legali, funzioni, caratteristiche di un nuovo istituto giuridico del diritto dell’Unione. – 2.1. Elementi essenziali del valore dello Stato di diritto europeo. – 2.2. Funzione e fondamento giuridico. – 2.2.1. L’articolo 7 Tue. – 2.2.2. Il Consiglio d’Europa: la prospettiva comparatista. – 2.2.3. Il diritto internazionale generale. – 2.3. Come identificare un deficit sistemico nello Stato di diritto. – 2.3.1. Il fondamento teorico: la funzione del diritto. – 2.3.2. Criteri di identificazione. – 3. L’applicazione del concetto. – 3.1. Esempi di deficit sistemici. – 3.1.1. Vecchie sfide: le istituzioni in Grecia e Italia. – 3.1.2. Nuove sfide: le istituzioni in Bulgaria e Romania. – 3.2. Gli strumenti europei per rispondere. – 3.2.1. Il meccanismo di sorveglianza del 2007. – 3.2.2. La condizionalità dei programmi di aggiustamento. – 3.2.3. La ri-allocazione di responsabilità: l’esempio dell’asilo politico. – 3.2.4. Il nuovo quadro dell’Ue per rafforzare lo Stato di diritto: il Pvsd. – 3.3. Alcuni problemi costituzionali. – 4. Un concetto che divide?
[2] Articolo 7
1. Su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2. Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura.
Il Consiglio verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono validi.
2. Il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2, dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni.
3. Qualora sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio. Nell’agire in tal senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche.
Lo Stato membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi che gli derivano dai trattati.
4. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può successivamente decidere di modificare o revocare le misure adottate a norma del paragrafo 3, per rispondere ai cambiamenti nella situazione che ha portato alla loro imposizione.
5. Le modalità di voto che, ai fini del presente articolo, si applicano al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio sono stabilite nell’articolo 354 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.