di Domenico Chiesa
“Per poter cambiare la scuola occorre per prima cosa, al di là dei soliti discorsi di carattere politico istituzionale, un esercizio di pensiero.
Solo attraverso il pensiero è possibile generare qualcosa di pratico e di concreto. La scuola chiede di essere ricreata e rigenerata, non semplicemente abolita o rinnovata”.
(Riccardo Massa, 1997[1])
Dove si trova e dove sta andando la scuola italiana?
L’inadeguatezza della scuola nel sostenere l’apprendimento di tutti i bambini e tutti i ragazzi si sta ulteriormente aggravando. L’aumento delle disuguaglianze sociali, lo stravolgimento dei paradigmi culturali con cui si costruisce e si trasmette la conoscenza non hanno incontrato risposte adeguate nella politica scolastica.
Perché la società nel suo insieme sembra perdere fiducia nella istituzione scuola? Cosa sta succedendo al suo interno?
I problemi che vivono i ragazzi in difficoltà nello stare a scuola rappresentano il cuore dei problemi della scuola e della sua crisi: “la scuola ha un problema solo, i ragazzi che perde”. Purtroppo la superficialità e la strumentalità delle analisi ne impedisce la comprensione e la messa a punto delle strategie necessarie per affrontarli.
Eppure non sarebbe difficile individuare gli snodi dai quali partire per promuovere un processo virtuoso di cambiamento. Non è una riforma calata sulla scuola che serve, bensì un coerente intervento di politica scolastica che attivi e supporti un processo d’innovazione in cui tutti i soggetti della vita scolastica siano posti nelle condizioni di essere protagonisti, assumendosi le proprie responsabilità.
Innovare non è un’azione neutra; il suo valore è determinato, oltre che dall’efficacia, dall’obiettivo che si propone di raggiungere. Importante è partire con il piede giusto e andare nella giusta direzione.
Il punto di partenza è necessariamente l’idea di scuola verso cui costruire un progetto di innovazione.
Il Cidi Torino, prima che fosse elaborata la legge 107/2015, ha prodotto e diffuso una riflessione/proposta per un cambiamento possibile e coerente[2].
A questo documento faccio riferimento nello sviluppo del ragionamento che propongo.
Verso quale scuola si deve orientare il cambiamento?
Continuiamo a trovarci davanti a due prospettive di scuola.
Una prospettiva prevede, ad un certo punto del percorso, due binari paralleli; uno per coloro che sono votati alla “cultura alla seconda potenza (metagiudizio, metacognizione, con risvolti su tutti gli aspetti della personalità)” e un altro in cui la cultura sia dosata sulle pratiche professionali da raggiungere e rivolto a coloro che non sono “adatti” allo studio teorico e hanno la “vocazione” al lavoro manuale.
L’altra prospettiva è orientata ad offrire all’intero percorso di istruzione, dai 3 ai 16 (19) anni e poi per tutta la vita, lo stesso significato, ragionando attorno ad un rinnovato principio educativo che abbia proprio come elemento ispiratore la formazione culturale indispensabile per affrontare la vita adulta da cittadini. La formazione professionale risulta complementare e non alternativa alla scuola.
In sostanza muoversi all’interno della filosofia di separare al più presto i ragazzi, basandosi sull’emergere delle diverse “vocazioni” verso lo studio, oppure sostenere un percorso unitario per tutti e per ciascuno, fino al raggiungimento degli strumenti culturali necessari per poter maturare scelte consapevoli di vita rendendole sempre più indipendenti dalle condizioni socio-culturali di partenza.
L’Italia, dall’inizio degli anni sessanta, ha scelto la seconda strada con due tappe, la prima nel 1962/63 con l’obbligo di 8 anni nella scuola media unica e la seconda nel 2006/07 con l’innalzamento dell’istruzione a 10 anni, nel biennio unitario del secondo ciclo. È la strada più impegnativa, una sfida, eppure è l’unica che corrisponda al compito che la Costituzione affida alla scuola.
Negli anni passati si sono coltivate illusioni e ingenuità, ricercate scorciatoie, prodotti errori, accumulate inadempienze, ma la nostra scuola pubblica ha raggiunto importanti risultati e ci sarebbe ancora tanto lavoro da fare.
In realtà questo processo si è interrotto nel 2001; poi l’apparente rilancio con l’innalzamento a 10 anni di istruzione per tutti (Legge n. 296 del 27 dicembre 2006) che però non è diventato sostanziale; con gli interventi del ministro Gelmini fino a quelli della “buona scuola” è stata riproposta l’alternativa tra scuola e formazione professionale già a 14 anni.
Sembra che la fase innovativa, aperta negli anni sessanta, si sia chiusa: quanto passato si prospetta nel prossimo futuro.
Da quali priorità ripartire
Come fare affinché la vecchia scuola selettiva, canalizzata, che separa appena possibile, capace di funzionare solo se isola le differenze non venga presentata come l’innovazione per il futuro?
Come sostenere il bisogno di far ripartire la ricerca, il confronto serrato non ideologico, l’approfondimento sul complesso intreccio tra lo sviluppo della scuola e il futuro della società?
Attorno a queste domande possono essere ricercati gli ambiti su cui proporre una politica che orienti risorse, ricerca e azioni condivise in modo trasversale, dal ministero fino alle scuole con autonomia.
Provo a proporne alcuni.
1. La scuola nei primi due decenni della vita: condizioni culturali e risorse
La struttura del nostro sistema si basa sulla scuola dell’infanzia (in prospettiva 0-6) cui seguono due cicli di 8 e 5 anni. La Repubblica è impegnata a garantire a tutti il primo ciclo e il primo biennio del secondo. La scuola dell’infanzia è collegata al primo ciclo attraverso il modello dell’Istituto comprensivo assunto come riferimento dalle Indicazioni nazionali del 2012. È previsto l’esame di stato alla fine del primo ciclo, la certificazione delle competenze culturali alla fine del biennio (e quindi dell’obbligo di istruzione) e l’esame di stato alla conclusione del secondo ciclo.
È un’articolazione virtuosa, in cui lo sviluppo curricolare formalmente riconosce e rispetta i bisogni formativi delle diverse fasce di età; non comprende però un vero progetto unitario: i contenuti del sistema scolastico 3-19 sono il risultato di modifiche mai fatte insieme e sono forti le contraddizioni interne e nei passaggi, in particolare tra il primo e il secondo ciclo.
In questa fase non serve una mitica riforma costruita nelle stanze ministeriali da trasferire alla scuola. Sono invece opportuni interventi interni ai singoli livelli di scuola, con una visione finalmente di insieme, mirati a costruire le condizioni per la profonda e coerente innovazione pedagogico-didattica.
La vera priorità della scuola è ridefinire, consolidare e talvolta ricostruire le condizioni per una relazione educativa motivante, efficace e coerente in riferimento alle diverse età.
È indispensabile sviluppare le condizioni culturali e ripristinare le risorse per la costruzione di un curricolo verticale e progressivo 0-19 (con specificità per il tempo dell’obbligo scolastico 6-16).
Per questo è necessario rilanciare azioni specifiche di politica scolastica rivolte al miglioramento del fare scuola: organico di scuola stabile e funzionale al progetto di Istituto, numero di studenti per classe e numero di classi per insegnanti, riduzione della frammentarietà dei piani di studio, autonomia scolastica, valutazione di sistema, ambienti di apprendimento coerenti, innalzamento sostanziale dell’obbligo, dimensione interculturale.
La scuola da rigenerare e ricreare “serve” solo per acquisire le chiavi di accesso al sapere che le generazioni che ci hanno preceduto hanno costruito. Serve per diventare più autonomi, più liberi, più padroni delle proprie scelte. Serve solo per emanciparsi dalla generazione che ci precede e dalla condizione sociale da cui si parte. È la scuola del rigore per il riscatto delle singole persone in un progetto di riscatto sociale. È la scuola che ha lo stesso significato per tutti, in cui lo scopo che motiva all’apprendimento è il piacere dell’apprendere in sé, adeguato ai bisogni formativi e di vita propri di ciascuna età e non dosato sul futuro lavorativo.
2. la scuola come luogo e tempo del mondo
La scuola cura lo sviluppo della maturità umana e culturale attraverso lo studio riflessivo, l’esperienza, l’assunzione di responsabilità personali e collettive, la pratica di azioni con valenza sociale.
Per questi motivi la scuola, mentre si propone esistenzialmente come un vero spazio/tempo della vita in cui svolgere l’esperienza pubblica più importante nell’età dell’infanzia e dell’adolescenza, sviluppa relazioni con il mondo in cui i ragazzi sono immersi e costruisce ponti con il loro futuro.
Si possono individuare alcuni piani della vita da adulti verso i quali la scuola deve assumere la propria responsabilità.
La scuola e la partecipazione alla vita pubblica. La scuola, tempo della formazione culturale e laboratorio di vita democratica, prepara alla cittadinanza attiva.
Quando si conclude il percorso scolastico è importante disporre della strumentazione necessaria a sostenere le scelte proprie della cittadinanza. La scuola ha una parte non marginale di responsabilità nella costruzione di tale bagaglio che contiene la formazione culturale e umana, senza cadere nell’indottrinamento e nella retorica.
John Dewey offre una risposta pragmatica ed efficace alla questione di che cosa significa “educare” per una stato democratico e in quanto tale laico: «una società democratica deve avere un tipo di educazione che interessi personalmente gli individui alle relazioni e al controllo sociale, e sappia formare la mente in modo che possano introdursi cambiamenti sociali senza provocare disordini».
Educare alla cittadinanza comprende quindi l’educazione intellettuale e l’educazione alla partecipazione politica nel senso di educazione alla vita collettiva, alla dimensione pubblica, alla legalità.
La scuola e il lavoro. Scuola e lavoro rappresentano due esperienze centrali della nostra vita. La scuola è consapevole che consegnando i propri studenti al mondo adulto li consegna anche al lavoro e sa che è fondamentale che il lavoro arrivi quando si è in grado di viverlo con padronanza.
Il periodo dell’istruzione (esperienza insostituibile per tutti almeno fino ai 16 anni) rappresenta il “tempo della scuola”, della formazione culturale da consolidare e rendere persistente e stabile, dell’acquisizione delle competenze culturali di base in grado di sostenere la capacità di apprendere per tutta la vita.
Il periodo appena successivo (16÷19 anni) costituisce il tempo del “confine”, dell’intreccio e della contaminazione tra i sistemi formativi (scuola, formazione professionale, formazione sul lavoro). In particolare è importante recuperare e far evolvere l’esperienza e l’elaborazione realizzate negli istituti professionali, costruendo un nuovo rapporto con gli istituti tecnici all’interno dei poli della scuola secondaria di 2° grado.
Nella formazione per tutto l’arco della vita, nel “tempo del lavoro”, la scuola deve rimanere un punto di riferimento significativo sia a livello della riconversione professionale sia dell’approfondimento culturale.
La scuola e la qualità della vita. Un adulto sereno nasce dalla gioia con cui riesce a compiere le prime esperienze di apprendimento e collaborazione con altri. L’esperienza scolastica deve diventare un tempo pieno di vita con al centro la soddisfazione di conquistare le chiavi del sapere e il piacere di condividerlo con altri. Il gusto per il sapere/saper fare deve diventare il “vizio” che non si è disposti a perdere quando si lascia la scuola.
È un obiettivo che può essere raggiunto percorrendo e intrecciando contemporaneamente tre piani: un percorso curricolare che connetta la cultura con la qualità della vita; un reticolo di relazioni umane centrate sull’ascolto, sul rispetto e sulla fiducia; un ambiente (fatto di spazi, tempi, strutture, regole) coerente e in grado di sostenere la crescita umana e culturale.
- La scuola che si prende cura delle persone che in essa vivono
La scuola può essere cambiata solo da coloro che la abitano e la vivono ogni giorno e che si sentono di chiedere alla politica di assolvere al suo vero compito: garantire le condizioni e le risorse perché questo difficile processo si avvii e si realizzi.
Per cambiare davvero è necessario riconoscere e valorizzare le risorse umane presenti nella scuola; è la vera carta vincente di una politica di cambiamento, in grado di moltiplicare la produttività delle altre risorse. L’innovazione si costruisce attraverso il contributo e la collaborazione di molti soggetti: quelli interni al processo d’insegnamento-apprendimento, i protagonisti degli altri momenti educativi [le associazioni, ma anche i genitori], i responsabili delle politiche scolastiche a livello locale e nazionale.
Il cambiamento deve essere finalizzato a costruire un ambiente formativo alto e qualificato, dove insegnanti ed allievi si possano incontrare, ascoltare, riconoscere, modificare reciprocamente e dove sia possibile accompagnare uno per uno i ragazzi nella realizzazione del proprio armonico sviluppo, nella costruzione del proprio modo di stare al mondo.
L’organizzazione degli spazi e le strumentazioni necessarie, come vecchie e nuove tecnologie, dalla carta e penna alle LIM, sono all’esclusivo servizio dei processi di apprendimento/insegnamento.
Elemento cruciale per l’apprendimento e per la motivazione all’apprendimento è la qualità delle esperienze che insegnanti e studenti realizzano nel fare scuola quotidiano. Gli insegnanti sono chiamati a far crescere tutte le dimensioni degli allievi: quella cognitiva, quella emotivo-affettiva e quella sociale. La pervasività culturale è nel loro incontro e sviluppo.
(8 febbraio 2018)
[1] Riccardo Massa, Cambiare la scuola, Laterza, Bari, 1997, p.10
[2] “Sì,allora cambiamo la scuola (davvero)” Documento del Cidi Torino presentato al Campus L. Einaudi (Università di Torino) l’11 febbraio 2015 e disponibile sul sito di insegnare (http://www.insegnareonline.com/orizzonti/cambiare-scuola-davvero/bacheca)