di Zeno Cosini
Il Pd
Queste elezioni hanno portato definitivamente alla luce il problema del rinnovamento della classe dirigente del PD, a cui non è mai stata data una risposta seria. L’attuale classe dirigente non dirige più, non ne ha più l’autorevolezza e la forza, con la conseguenza che ogni parlamentare agisce come singolo e non come membro di un gruppo. Lo spettacolo offerto con la votazione di Marini è stato rivelatore: contano molto di più i tweet degli elettori che non quanto emerso nelle riunioni della dirigenza e questo perché non si ritiene più che il leader sia in grado di comprendere la propria base, orientarla e guidarla. Questo è il nodo fondamentale.
Se il PD non affronta seriamente il problema è morto. Ed è naturale che sia così: non ci si fida più di chi non è riuscito a fornire al proprio elettorato le risposte di cui aveva bisogno. Pensare di aver risolto il problema non candidando in Parlamento D’Alema o Veltroni è stato un grave errore. Serve un’azione molto più profonda. Invece nel PD si è realizzato il percorso inverso: in molti nel partito hanno preferito sostenere un candidato (più) di sinistra, perché garantiva loro l’esistenza e la non rottamazione (ossia Bersani), anziché un candidato probabilmente più in sintonia con le loro idee politiche (più di destra) ma che proponeva un rinnovamento (Renzi). Con la conseguenza che Bersani è stato confermato segretario e candidato premier, ma si è trovato di fronte un partito decisamente più a destra rispetto al suo segretario e alla sua direzione; con la conseguenza che gli elettori chiamati a scegliere tra un partito di sinistra, ma non rinnovato, e uno maggiormente di destra, ma rinnovato, si sono ritrovati con un partito non di sinistra e non rinnovato. Oltre al danno, la beffa.
Napolitano
La rielezione di Napolitano va precisamente nel senso opposto all’esigenza di più sinistra e più rinnovamento. Data la tragica situazione, la parte del PD più vicina a Rodotà avrebbe dovuto pubblicamente appoggiarne la candidatura e stanare la restante parte. Certo, il partito si sarebbe spaccato, ma la spaccatura è avvenuta lo stesso, perdendo anche il consenso degli elettori. Ciò è ancora una volta indice del fatto che, nei momenti cruciali, il PD preferisce accordarsi con la destra piuttosto che con la sinistra. C’è da chiedersi il perché, visto che le recenti elezioni hanno chiaramente dimostrato che i famosi elettori di centro non esistono. In alternativa il PD avrebbe potuto fare un nome più digeribile per il resto del partito, ma accettabile anche per i grillini (come per esempio Zagrebelsky). O ancora avrebbe potuto sostenere la Cancellieri.
Invece si è deciso di non scegliere e di riproporre il Presidente uscente, peraltro in barba a una (sana) consuetudine costituzionale che ne ritiene poco opportuna la rielezione.
Movimento 5 stelle
A questo punto si pone un problema di non poco conto, ossia che i delusi del PD vedano (stante anche l’attuale legge elettorale) Grillo come unica alternativa elettorale. Premessi i fondati dubbi sulla democraticità del “metodo grillino” e sul programma del Movimento 5 stelle (l’eliminazione dei corpi intermedi, il superamento della differenza tra destra e sinistra, l’idea del parlamentare come portavoce e non come rappresentante, l’ambiguità sull’Europa, la mancanza di un’idea chiara sul lavoro, ..) , si deve comunque rilevare che:
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i contenuti del programma grillino sono in prevalenza di sinistra;
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le battaglie del movimento sono in gran parte di sinistra: No Tav, acqua pubblica, conflitto di interessi, ineleggibilità, legge anticorruzione, etc.;
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i candidati a Presidente dei grillini erano tutti di sinistra o di centro-sinistra;
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i grillini cercano di dare una risposta alla richiesta di rinnovamento proveniente dal Paese.
Con riferimento a quest’ultimo punto bisogna riconoscere che Grillo, da uomo di spettacolo, è abituato a “sentire” l’umore del proprio pubblico (e adesso del proprio elettorato). La sinistra deve riuscire a dare una risposta concreta a questo problema: il PD ascoltando le proposte dei giovani militanti e SeL cercando di non cadere nel tranello di una “nuova sinistra” con i vari Ferrero, Diliberto, Di Pietro, ecc.