di Mario Vadacchino
Non credo sia corretto attribuire a Beppe Grillo la sola intenzione di sfasciare tutto; al massimo gli si può attribuire l’intenzione di sfasciare il Partito Democratico, cosa del tutto legittima e, prevedibilmente, non difficilissima. Nel programma di Grillo non ci sono innovazioni particolari; si tratta di proposte avanzate da anni in particolare dal PD, studiate e ristudiate, ma mai realizzate per motivi più o meno nobili. Ed è sulla debolezza del PD che Grillo ha furbescamente insistito e sulla quale è necessario spendere qualche parola: gli otto milioni di voti ottenuti da Grillo sono semplicemente il segno di questa crisi.
Credo che Bersani rappresenti il meglio di una tradizione politica di sinistra messa attualmente sotto scacco, ma non è riuscito a rendere il partito uno strumento utile alla politica e non solo ai suoi appartenenti ed è francamente drammatico che sia stato tradito da una rappresentanza parlamentare di cui aveva esaltato la giovinezza e l’equilibrio di genere. Le difficoltà evidenti mostrate da Bersani nella campagna elettorale nascevano forse da una scarsa capacità nel fare propaganda (dote che si deve avere quando si cercano voti), ma anche dalla coscienza che dietro non c’era un partito unito, ma un’accozzaglia di feudi con i relativi feudatari che difendevano posizioni di potere e non idee. È ovvio che un partito vero non avrebbe tollerato a lungo Renzi, ma il PD è un partito che tollera da tanto tempo Violante, giustamente esibito da Grillo come il difensore delle tre televisioni di Berlusconi e che, inserito tra i saggi di Napolitano, ha approvato un documento sulla giustizia che è il programma del PDL.
La crisi della sinistra parlamentare precede da lungo tempo quella del PD: basti ricordare che questa ha assunto negli ultimi anni ben quattro nomi PCI, PDS, DS ed infine PD, con un gruppo dirigente che è rimasto però sempre sostanzialmente lo stesso; l’unione dei DS con la Margherita non ha risolto il problema.
Anche Renzi ha approfittato di questa crisi e ha potuto costruirsi un suo spazio, aiutato ovviamente da un’indubbia modernità nella capacità di trasmettere messaggi, modernità che manca invece a molti dirigenti del PD, in particolare proprio a Bersani.
Il nodo strategico sul quale appare più evidente la debolezza democratica – la cui gravità Bersani ha colpevolemente sottovalutato e, anzi, per certi aspetti alimentato – è il rapporto con questa destra; si badi non con la destra, ma con questa destra e più precisamente con il suo leader Berlusconi. L’ambiguità di questo rapporto è stata messa in evidenza proprio da Renzi: quando si lamentava di essere accusato di volere l’inciucio proprio mentre Migliavacca, braccio destro di Bersani, incontrava ogni giorno Verdini; e non mi pare nemmeno il caso di ricordare chi sia Verdini.
Da vent’anni il PD non può evitare di far notare ai suoi militanti, ma anche agli italiani, come sia un’anomalia rispetto alle democrazie occidentali un governante che monopolizza il sistema delle informazioni; ma questo avviene mentre un suo dirigente difende questo monopolio. Per non parlare poi della disperata, ventennale, ma efficace lotta di Silvio Berlusconi contro la magistratura per evitare condanne dovute a reati quali evasione fiscale o corruzione dei giudici, fatti che in un paese civile avrebbero impedito al leader del PDL di diventare consigliere comunale anche solo in uno sperduto paesino di montagna. E questo in un’Europa, dal cui giudizio tutti paiono ansiosamente dipendere, nella quale un ministro si dimette se risulta avere copiato la tesi di dottorato: l’ambiguità del PD rispetto a Berlusconi ha anche un nome ed è quello di Massimo D’Alema e di un suo gruppo ancora influente all’interno del PD.
Da un lato quindi si è dovuta assumere una posizione puramente propagandistica contro l’anomalia berlusconiana in politica, dall’altro, nei fatti, anche quando il PD era al governo, non si è riusciti mai a dare almeno qualche segno serio di volere correggere questa anomalia. Quando si è presentata addirittura la possibilità di sfiduciare il governo Berlusconi, le assenza tra i parlamentari del PD, più o meno giustificate, lo hanno salvato. È proprio la debolezza del PD rispetto a Berlusconi il nodo strategico da sempre irrisolto; e non è un caso se su questo aspetto il comportamento di Bersani in campagna elettorale sia stato particolarmente contraddittorio e incomprensibile: egli ha addirittura evitato anche solo di citare Berlusconi. Questa, che poteva sembrare un’astuzia elettorale per apparire moderato, nasceva invece dalla consapevolezza che vari dirigenti del PD non lo avrebbero seguito in uno scontro diretto, come poi in effetti è successo. Non è un caso che l’opposizione a un governo cosiddetto di larghe intese da parte dei militanti del PD sia oggi sintetizzata nello slogan: Mai con Berlusconi.
Bisogna dire che a questa debolezza e ambiguità nei comportamenti del PD ha dato un buon contributo Napolitano: non solo evitando, nel 2011, le elezioni quando le gravi colpe del governo di destra nel gestire la crisi economica erano sotto gli occhi di tutti, ma anche con la recente dichiarazione secondo la quale a un dirigente politico deve essere possibile fare politica senza che i magistrati lo disturbino.
Il destino del PD deve oggi interessare tutti coloro che sostengono la necessità che anche in Italia, come in tutti i paesi europei, ci sia una sinistra credibile come forza di governo e non solo come testimonianza. Può essere difficile e doloroso convincersene, ma credo che sia stata abbondantemente dimostrata l’impossibilità di fare crescere una forza di sinistra alternativa al PD, che diventi in tempi realistici in grado di governare.
La partecipazione del PD a un governo con il PDL è destinata a produrre ulteriori tensioni nel PD. Considero poco probabile una scissione a destra dato lo scarso peso elettorale mostrato da Scelta civica di Monti e anche a sinistra, dove lo spazio è ben presidiato da Vendola. Va ricordato che il PD si avvia a tenere un congresso e allora anche il documento Barca potrebbe giocare un certo ruolo.
La situazione politica ed economica generale non pare essere così stabilizzata da permettere di pensare che un governo possa avere una lunga durata: la discussione sui provvedimenti del governo sarà di fatto un discussione pre-elettorale che interesserà i problemi dell’economia e anche quelli della giustizia e non sarà una discussione solo tra PD e PDL, ma sicuramente anche all’interno del PD. Basta un solo esempio: la discussione sulla possibilità di togliere o meno l’IMU. Non sarà più teorica, ma dovrà passare al vaglio del dibattito parlamentare, con tutte le incognite che questo comporterà: i franchi tiratori, che hanno fatto le prove generali durante le votazioni per il Presidente della Repubblica, non saranno certamente in ozio e i grillini dovranno finalmente uscire dal loro attuale comportamento pilatesco.
In conclusione bisogna ricordare che in Parlamento la presidenza di alcune importanti commissioni parlamentari, quali quella della RAI e quella dei servizi segreti, dovrà essere assunta dalle opposizioni e quindi da SEL e dai grillini.