di Federico Repetto
Ante-scriptum
È doveroso premettere che chi scrive, di fronte alla scelta secca tra Berlusconi e Grillo, non si rifugerebbe nell’astensione, ma voterebbe Grillo; e che, con altrettanta nettezza, pensa che la sinistra (o ciò che ne resta) debba lavorare per non trovarsi di fronte a questa secca alternativa.
I.
Chi giovedì di Pasqua avesse visto “Servizio pubblico” dell’orrido Santoro, avrebbe anche sentito le puntute affermazioni di Freccero (nome omen) che confermavano l’idea che Grillo, mutatis mutandis, cum grano salis, etc., sia il Berlusconi del web. Questo anche perché (secondo me) tra l’attuale web dei social network e la tv dei reality e dei talk show c’è – pur nell’opposizione – una continuità: dall’esposizione dell’intimità dei concorrenti, del pubblico in sala e dei telefonanti all’esibizione del profilo facebook; dal litigio berciante dei talk show ai litigi con maiuscole e punti esclamativi tra gli individui “attivi” on line; alludo naturalmente non tanto al web dei militanti del M5S, ma a quello dei suoi elettori (su un altro piano, conosco qualche casalinga che è passata da “Amici” a facebook; e anche questo qualcosa significa).
II.
La differenza (sia politica, sia di format) tra i due personaggi non è certo piccola, ma lasciatemi sottolineare soprattutto la continuità e la somiglianza:
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entrambi usano o hanno usato potentemente il medium neotelevisivo: Grillo sfrutta ancora una sua antica fama televisiva non andata in prescrizione, come pure la sua conoscenza della logica del mezzo, per cui è efficace anche l’assenza-quando-è-attesa-la-presenza: non ha certo dimenticato di essere stato designato da un sondaggio Abacus del 1991 come il comico “più popolare” del paese, dopo 5-6 anni di assenza dalla tv (en passant, Berlusconi nel 1992 risultò il personaggio più stimato dai ragazzi);
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entrambi sono connotati (o almeno vogliono connotarsi) come antistato, come esterni all’orrida casta dei politici (e magari anche dei sindacalisti), e mostrano simpatia per il modo delle imprese (con notevoli differenze di scala, però) e per una versione del neoliberismo ad personam, ad partitum o ad non-partitum;
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entrambi (Freccero dixit) in campagna elettorale hanno offerto al pubblico il loro corpo, cosa che non hanno fatto certo Bersani e Monti (che per ora ha offerto solo il corpo del suo cagnolino); questa offerta avviene sub specie televisionis (in streaming e su Sky, per Grillo) ma anche “senza intermediazione”, nella piazza reale, anche se teletrasmessa (Berlusconi qui è stato più avaro, ma almeno ci ha provato, mentre Bersani no);
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entrambi si danno da fare sul web-prosecuzione della tv, cioè sui social network. Secondo un recente libro di Corbetta e Gualmini, nelle elezioni amministrative la presenza dei candidati grillini sui social network più diffusi raggiungeva a malapena quella dei candidati PDL e PD, che per questo evidentemente hanno un servizio apposito (e fondi appositi); anche per le politiche, seguendo i dati forniti periodicamente a Rai-News24 da Giuliano Noci, vicerettore del politecnico di Milano (uno webbologo 2.0 dotato di appositi strumenti elettronici) Berlusconi è stato capace di provocare molto eco sui social network, in particolare su facebook, che è quello più di massa e più televisivo, battendo nettamente Bersani. Però credo che la risorsa di Grillo, oltre ai materiali forniti dal suo proprio blog, sia il lavoro on line dei militanti e dei simpatizzanti, ma soprattutto mi pare vincente per la sua credibilità e la sua “non-castità” (absit iniuria). La forza di Grillo per me non è quantitativa, ma qualitativa: il radicamento on line e l’immagine del suo blog e del M5S contano più di campagne web improvvisate (abbastanza inutili gli sforzi di Monti su twitter);
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un altro punto in comune è la pretesa di superare le ideologie e inoltre, per Grillo, le differenze destra-sinistra (del resto Berlusconi, che non rifiuta questa distinzione, difficilmente è collocabile a destra in un senso ben definito del termine). Entrambi hanno rotto con le tradizioni e si proiettano in un presente senza storia. E questo è in relazione sia con l’ideologia della “fine delle ideologie” di stampo neoliberista, sia con la riduzione della dimensione tempo al presente, legata ai grandi media, web incluso. La tragedia è che il PD, anche senza medio-mania, ha fatto lo stesso: l’Italia oggi è un paese politicamente senza storia;
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entrambi sono dei non-capi carismatici. Eco, nel ‘94, interrogato su Berlusconi padre della patria, disse che gli italiani non amano veramente i padri autorevoli, ma al massimo gli zii, più complici e comprensivi (come Silvio). Paolo Ceri, nel suo libro su Berlusconi, nega che egli sia un vero capo carismatico: se egli si è “votato senza tregua alla causa” (un tratto necessario di questo tipo ideale), tuttavia il narcisismo, la ricerca di complicità e l’esibizione della vita mondana, ecc. sono in netta contraddizione con tale tipo. E tutto il suo movimento non ha nulla di carismatico, ma nasce sulla base di un’organizzazione pianificata e del marketing. A differenza dei veri leader carismatici, i suoi seguaci non gli sono fedeli, non lo seguirebbero chissà dove per compiere la missione “assoluta” del movimento: sono solo persone che hanno fiducia in lui a determinate condizioni. Io direi: sono fidelizzati (piuttosto che fedeli): tendono, per così dire, a sintonizzarsi innanzitutto sul suo canale. Ma non hanno rinunciato del tutto al telecomando. Nel caso di Grillo, la pura qualità di capo la nega prima di tutto lui; ma se è possibile affermare che sui militanti veri e propri egli abbia spesso un’influenza carismatica, è tutta da vedere l’influenza che potrà avere sugli elettori, dal momento che sul suo blog (prontamente amplificato da tutti i media) ha affermato che certuni che lo hanno votato si sono sbagliati;
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ma se non sono capi carismatici, che funzione hanno? Li chiamerei tutti e due (ma è un’ovvietà) dei politici-vedette. Ultimi esponenti di quella politica spettacolo che Gianni Statera analizzava già negli anni 80 (ultimi per adesso: Renzi, per es., aspira a questo ruolo, e non ha mancato di partecipare ad “Amici”).
III.
In che consiste la differenza tra loro nel ruolo di politico-vedette? Che differenza di spettacolo e di pubblico c’è fra Berlusconi e Grillo? Per quanto una parte del voto a Grillo possa essere stato dato a prescindere da ciò che si pensa di lui e delle sue teorie, ecc., a me resta l’impressione che votare, anche provvisoriamente e per protesta, per uno che ha un’immagine austera e anti-consumistica (già solo nel vestire, nel girare in camper, ecc.) come quella di Grillo, sia l’indizio di una mutazione culturale grandiosa nell’Italia contemporanea, forse di una presa di coscienza del declino, comunque della fine del mito dello sviluppo.
É importante il flusso che gli proviene da quelli che hanno votato per la prima volta: “il M5s cresce fra i giovani del 20-25% a Firenze e Milano, attorno al 40% nei capoluoghi meridionali e addirittura del 70% a Torino” (vedi anche Renato Mannheimer, Corriere, 27 febbraio 2013).
Se poi guardiamo non gli elettori, ma il movimento, vediamo che l’influenza della teoria della decrescita di Serge Latouche e Maurizio Pallante vi è ampiamente rappresentata e ne costituisce un importante filone ideologico.