di Guido Ortona
Premessa
Bisogna fare molta attenzione a non commettere due errori, comprensibili ma gravi. Il primo è pensare che Can’t happen here, l’idea che certe cose qui non possano accadere. Anche i greci e gli argentini la pensavano così. Il secondo è valutare le implicazioni delle scelte politiche in termini non comparativi. Per esempio, molti inorridiscono all’idea di uscire dall’euro: ma possono farlo solo se prima di inorridire hanno valutato cosa succede se non si esce dall’euro. Quando viene amputata una gamba l’alternativa non è se no al massimo si zoppica un po’, è la morte.
La grande crisi
La gravità della situazione politica non può essere compresa adeguatamente se non si tiene conto della gravità della crisi economica – che è enorme. Essa può essere paragonata alla crisi del 1929 non solo per la sua ampiezza, ma anche per il suo carattere strutturale. Per quanto riguarda l’Italia, in particolare:
a) La crisi segue a un lungo periodo di ristagno, in cui (anche per scelta politica) si è distrutto gran parte del capitale tecnologico e umano del paese.
b) La ricostruzione di questo capitale, date le attuali prospettive, è un compito colossale, cui il settore privato non è adeguato: perché le situazioni di incertezza sono ovviamente le meno propizie agli investimenti, sopratutto a quelli che danno profitti nel lungo periodo.
c) Gli interessi della casta sono in contrasto con quelli del paese. Non è sempre stato così: i periodi di crescita dell’economia italiana sono stati tali anche grazie alla flessibilità e alla sicurezza del sistema garantite dalla comunanza di interessi, nelle tre versioni fascista-democristiana-emiliana.
d) Quando gli interessi della casta entrano in contrasto con quelli di una parte importante del paese, la soluzione tipica è quella di far pagare il prezzo a qualcun altro. Se possibile a degli stranieri, e questo è il caso dell’esplosione dell’imperialismo a seguito della grande crisi di fine ‘800; se no a qualche gruppo sociale criminalizzabile, come gli ebrei in Germania o i Kulaki in Unione Sovietica. Questa soluzione oggi è (fortunatamente) impraticabile.
Cosa capiterà
Siamo quindi in una crisi senza possibilità di uscita tradizionali e in cui la casta lotta per la sua sopravvivenza contro gli interessi generali del paese. A mio avviso, ci saranno necessariamente uno o più dei seguenti sviluppi: a) l’uscita dall’euro; b) la denuncia del debito; c) la catastrofe greco-argentina; d) una politica di New Deal a livello europeo.
Ovviamente, quello che tutti noi vorremmo è il quarto. L’Italia ha il potere contrattuale per imporlo, ma non ha la volontà politica: è evidente che un atteggiamento così aggressivo in Europa non può essere messo in atto da un Berlusconi, da un Monti o da un Mussari, perché se coronato da successo esso comporta inevitabilmente un maggiore controllo sulle banche, un’espansione del settore pubblico e un maggior potere dei sindacati. Potrebbe invece farlo il movimento 5 stelle; e avrebbe potuto farlo il PD se avesse seguito le indicazioni della sua base.
Dall’economia alla politica
Gli strati deboli della popolazione hanno per ora solo due difensori, e cioè il movimento 5 stelle e la FIOM. Entrambi, anche se ovviamente per motivi diversi, sono soggetti politici anomali. È auspicabile che maturi rapidamente quel processo di nascita di un nuovo partito di opposizione di cui si vedono le avvisaglie all’intersezione fra Landini, Vendola e forse Barca. Ma può succedere di tutto; almeno tre processi reazionari (nel senso proprio di reazione all’opposizione popolare) sono già visibilmente in atto: e cioè l’esorcizzazione del Movimento 5 stelle, la campagna per ridurre il numero di parlamentari onde allontanarli più possibile dal contatto con il popolo e il “cambiare tutto per non cambiare nulla” di Renzi. Non a caso Berlusconi vede in lui il concorrente più pericoloso. Purtroppo questa lotta fra due aspiranti capobanda viene ancora letta da molti come una lotta fra Berlusconi e un’alternativa al berlusconismo.
Il sistema elettorale
Anche la questione del sistema elettorale va proiettata su questo sfondo. Qui sono un po’ in imbarazzo, perché sono vent’anni che studio questo problema, e con una metodologia (la simulazione basata su indici quantitativi) che non è esente da difetti, ma è comunque più solida di quella adoperata da molti presunti esperti. I miei studi mi hanno portato a concludere che il sistema più ovvio (il proporzionale puro) è anche il migliore. Questo perché i due difetti che tradizionalmente gli vengono attribuiti, la scarsa governabilità e l’eccesso di potere dei piccoli partiti, in realtà non sussistono in misura significativa. È sufficiente che le correnti entro un partito abbiano un peso anche molto limitato perché la presunta maggiore governabilità di un sistema non proporzionale scompaia; e del resto a livello comparativo non c’è nessuna evidenza di una maggiore governabilità dei sistemi maggioritari. Per quanto riguarda il potere, il sistema proporzionale trasferisce potere dai partiti estremi molto più verso i partiti grandi di centro che non verso quelli piccoli (a causa della concorrenza fra questi). Esistono inoltre tre ragioni specifiche per cui un sistema non proporzionale sarebbe oggi una iattura particolarmente grave. La prima è che in questa situazione di guerra per bande entro la casta dare il potere assoluto a una banda sarebbe una tragedia. La seconda è che nella situazione di tensione sociale che si sta creando è pericolosissimo lasciare degli strati sociali senza una rappresentanza politica corrispondente al loro peso. La terza, e la più importante, è che la mancanza di concorrenza sul mercato politico è catastrofica. Guardate i danni che ha causato il “voto utile” per il PD estorto con la scusa che era l’unico baluardo contro Berlusconi. La correzione al proporzionale era solo un premio di maggioranza di coalizione: pensate cosa non sarebbe successo con un sistema maggioritario, sia pure a due stadi (che non a caso è il sistema auspicato da un sincero antidemocratico quale è Veltroni).
Le riforme politiche prioritarie
Mi pare che le riforme politiche veramente importanti siano due (oltre a quella del sistema elettorale).
La prima è una legge che imponga la separazione dei partiti dall’amministrazione degli enti pubblici non elettivi.
La seconda è una legge sui partiti, che imponga loro una struttura democratica. Il “colpo di partito” del PD, che ha scelto una politica in contrasto con quella voluta dai suoi iscritti, non dovrebbe essere possibile. Se qualcuno vuole fare una politica di destra deve essere obbligato a farlo tramite un partito di destra, non deve essergli consentito di conquistare un partito di sinistra.
Questo è un punto estremamente importante, perché è impensabile una democrazia senza i partiti, e se i partiti vengono sottratti al controllo democratico è l’intero sistema delle istituzioni democratiche che smette di funzionare, come del resto stiamo vedendo. Una legge simile esiste in Germania, quindi la strada è praticabile.