di Alfio Mastropaolo
Bersani
Ha sottovalutato la campagna elettorale. L’ha sbagliata anzi in pieno. Ha preso troppo sul serio i sondaggi. Ma proprio i sondaggi, che lo davano vincente, hanno consentito uno spostamento di elettori di sinistra, a disagio per la mancanza di messaggi chiari, anzitutto sul lavoro, a favore di Grillo. Verso il quale Bersani ha provato quindi ad aprire. Era la mossa più ragionevole e anche la più gradita ai suoi elettori. Non poteva accordarsi con Berlusconi. Se non che, Grillo – ma lo si è scoperto dopo – punta solo allo sfascio. E, grazie al sistema elettorale, si è scelto una rappresentanza elettorale del tutto sottomessa. Operazione che non è stata possibile a Bersani. Data la natura composita del partito ha dovuto lottizzare i parlamentari. E qui c’è un altro suo errore imperdonabile. Avere pensato che l’attuale legge elettorale avvantaggiasse il Pd. È un vantaggio apparente. Certo, con il 33 per cento puoi avere la maggioranza dei seggi. Ma che tipo di rappresentanza parlamentare ti ritrovi? La polemica sui parlamentari nominati è in gran parte fuori luogo. Una buona fetta di nominati c’è stata sempre: in special modo nel Pci. E non andava neanche male, perché i nominati erano selezionati con cura, tra chi si era realmente dedicato al partito. Ma con l’attuale meccanismo di selezione, è ovvio che tutti i capibastone pretendano di nominare la loro quota, pronti a manovrarla. E tra i capobastone una parte non irrilevante era disponibile a accordi con Berlusconi e comunque intendeva giocare in proprio. A Bersani gli è andata bene con l’elezione dei presidente delle Camere. Ma se da un lato ha azzeccato la mossa – due figure più che dignitose – dall’altra si è messo contro i capobastone, che gliel’hanno fatta pagare.
Chi si chiede perché Bersani non abbia accolto la proposta di votare Rodotà manca di realismo e ignora i vincoli che sempre costringono gli esseri umani. Siamo seri. Se Bersani l’avesse proposto, a una rappresentanza parlamentare fatta in questo modo, l’avrebbero infilzato esattamente com’è avvenuto per le sue altre proposte. Rodotà è un laico, dunque sgradito all’ala cattolica. E comunque sarebbe stato motivo per chiunque avesse voluto per mettere Bersani alle corde: come minimo, lo avrebbero accusato di essersi fatto umiliare. In aggiunta: non era infondato l’argomento che con due presidenti delle Camere di centrosinistra, un Capo dello Stato meno connotato non sarebbe stato fuori luogo. Solo che, se la premessa era condivisibile, non sono stati per nulla condivisibili gli atti conseguenti. Invece di proporre, e basta, un nome come quello di Marini, Bersani è andato a negoziarlo pubblicamente con Berlusconi e si è pure abbracciato con Alfano, lasciando supporre scambi poco limpidi. È stato un errore gravissimo, che ha distrutto la sua credibilità. Ci ha allora provato con Prodi, smentendo lo schema del candidato non sgradito all’avversario. Ma gli è andata ancora peggio. Va da sé che per molti del Pd la sua avversione a larghe intese era il problema. Forse Bersani, a ben pensarci, ne sarebbe uscito meglio se si fosse dimesso all’indomani delle elezioni, addossandosi l’insuccesso elettorale. Si sarebbe se non altro evitato questo calvario e avrebbe costretto i suoi parenti-serpenti a uscire subito allo scoperto. Adesso se ne va, malamente. Resto tuttavia convinto che sia il pezzo migliore nella dirigenza del Pd e che gli vada concesso l’onore delle armi. Adieu.
Renzi
In un partito ben nato un personaggio simile lo avrebbero cacciato da un pezzo. E invece l’hanno corteggiato e gli hanno permesso di prendere piede. Sarà dura sloggiarlo, Se Bersani avesse investito di più in messaggi chiari agli elettori (impegnandosi in particolare a adottare politiche diverse da quelle di Monti) e meno in corteggiamenti a Renzi, sarebbe stato meglio. Invece gli ha messo pure a disposizione un seguito parlamentare. Che lui ha manovrato con grande disinvoltura. C’è da presumere che una parte dei voti mancati a Prodi venga proprio dai suoi amici. Non tutti, perché cento sono tanti. Ma sicuramente lui aveva interesse ad affondare il gruppo dirigente e c’è riuscito (D’Alema, che è più furbo, si è fatto vedere in giro col cane). Ci si potrebbe augurare che, invece di invocare Renzi come il salvatore, tra le macerie del Pd si metta in discussione la sua spregiudicatezza. Ma non l’ha fatto neanche Barca, che pure ha suggerito un riorientamento del Pd verso sinistra: è tattica o è strategia?
Lasciamo perdere il programma politico del sindaco di Firenze, che non esiste. In fondo, di questi tempi, è un difetto secondario. Da ultimo ha raccontato che lui s’ispira a Tony Blair: il responsabile d una delle più drammatiche devastazioni sociali d’Occidente. Ancora peggio. Al momento Renzi è uno che si è consapevolmente mosso per sfasciare e rottamare e c’è riuscito. È il Grillo di dentro, che si aggiunge al Grillo di fuori. Andrebbe detto con chiarezza, anzitutto allo scopo di neutralizzarlo. In realtà, tutti i segnali indicano che il Pd si voglia rivolgere proprio a lui. Purtroppo i politici pensano solo alla loro rielezione: e Renzi ne pensionerà molti, ma, da spregiudicato realista qual è, ne salverà pure tanti. La storia si ripete, anche se mai esattamente. Qualcuno ricorda quando il Psi si consegnò a Bettino Craxi?
Napolitano
Dobbiamo ringraziarlo? Non entusiasma affatto la sua conferma. Di danni ne ha già fatti tanti, specie forzando i limiti della sua carica. E ciò resterà nella memoria dell’istituzione. Ma qualsiasi alternativa sarebbe stata peggio (anche se la Cancellieri non è affatto male). Dove Napolitano II sarebbe andato a parare era chiaro. Le larghe intese sono la sua cultura. Ma non basta essere contro. Occorre contrastarle politicamente, in quanto innaturali. Senza, per favore, gridare all’inciucio. Perché la democrazia, quando una maggioranza manca, implica compromessi, non inciuci. Del resto il Pd stesso è un compromesso tra forze diverse e lo è anche il Pdl. A questo punto c’è solo da augurarsi che il governo voluto da Napolitano non comporti troppi amplessi. Il Pdl resta una banda di gangster e per gli elettori del Pd sarà difficile capire una soluzione che era stata risolutamente rifiutata in partenza. Quanto meno servirebbero richieste programmatiche inderogabili. In primis una politica dell’occupazione e della crescita, invocata ormai anche da Bankitalia. In questi frangenti, è comunque tatticamente ragionevole la mossa di Vendola, anche se non risolutiva, giacché non basta a disegnare una strategia alternativa. Regalare a Grillo l’opposizione a un governo bipartisan sarebbe un disastro.
Il Pd
Si è rivelato non solo un’armata Brancaleone, ma una fogna. Lo sospettavamo. Anzi, una cupola mafiosa in cui ognuno è in guerra contro gli altri. Senza nessun legame ideale o progetto politico che lo cementi. Ma anche senza legami di interessi. Finalmente la fogna è stata scoperchiata. Non mancano le persone per bene: si potrebbero fare tanti nomi. Ci sono parlamentari che hanno disatteso le scelte di Bersani a viso aperto. Senza tramare imboscate. Possiamo criticarli, perché in un partito serio si dissente, ma poi si adegua. Altri, con altrettanta buona fede, hanno ritenuto di dovere accettare le scelte del segretario pur non condividendole. Ma ci sono soprattutto quelli che hanno acclamato Prodi e poi l’hanno accoltellato. La verità è che l’incrocio nel gruppo dirigente di cattolici e non cattolici non è riuscito e che vi si sono aggiunti i potentati personali e che si è persa la stessa idea di partito. In compenso, nel Pd non c’è solo metà dei parlamentari, grazie a una legge elettorale sciagurata. C’è un terzo degli elettori. C’è un cospicuo patrimonio elettorale. Ci sono gli elettori che il Pci si era conquistati, o i loro figli e nipoti. Ci sono i nipoti degli elettori di Nenni e di Lombardi, ma anche di Aldo Moro, Benigno Zaccagnini e via di seguito. È il caso di disperdere questo patrimonio elettorale?
Diremmo proprio di no. Ma è d’altro canto immaginabile che i cocci del gruppo dirigente possano essere reincollati? Può davvero farlo Renzi, sleale nei confronti del suo partito, fin dalle primissime battute? Quel che c’è da sperare – ma è difficile crederci – è che questo gruppo dirigente si ritiri in buon ordine, insieme ai suoi fedeli che ha sistemato in parlamento. I “giovani turchi” non sono meglio di quelli vecchi, cresciuti come sono alle soglie dell’harem. Sarebbe auspicabile un avvicendamento radicale, ma è difficile dire in che modo. In ogni caso, da questo gruppo dirigente una cosa la si può e deve pretendere. La somma dei suoi egoismi privati l’hanno messo in un cul di sacco. Ma non ha il diritto di scaricare ulteriormente il danno sugli elettori. Adesso pure chi non voleva, dovrà trangugiare il governissimo. Basta e avanza.
Letta è stato abile a escludere le figure più inclini al compromesso con Berlusconi (D’Alema e Violante, almeno a quel che si racconta). Speriamo allora che queste esclusioni bastino a fare del suo governo non un governo sottomesso a Berlusconi, ma una soluzione transitoria dettata dallo stato di necessità. Il problema è che se le cose non cambiano, l’ultima parola ce l’ha Berlusconi, che nel frattempo ha incassato la sua prima assoluzione. Quella del disastro dell’economia italiana. E che adesso tiene il governo in ostaggio. L’unico che può sventarlo è Napolitano minacciando di dimettersi, anziché di sciogliere le camere. Ovvero lasciando a quelle attuali la scelta del suo successore.
Elettorato (di centrosinistra) e di nuovo il Pd
Gli elettori votano per abitudine. Dismettono le abitudini, provvisoriamente, per votare per dispetto. Con il disastro sociale che Berlusconi e Monti hanno provocato (e di cui l’elettorato Pd, fatto di ceti medi e popolari, ha più sofferto) con la reputazione di immoralità e di subalternità che il Pd si è guadagnato (forse al di là dei suoi torti), che un discreto numero venisse attratto dal Grillo (una volta svanita la sinistra radicale) si spiega. Ma questo elettorato merita rispetto ed è una delle poche difese rimaste contro il berlusconismo. Così come contro il suo corrispettivo, che si è purtroppo rivelato essere il grillismo. Chi può salvare questo elettorato?
Il mondo imprenditoriale (il Corriere) ha già indicato Renzi come nuovo leader del Pd: una sinistra che ragiona da destra. Ma non sarei così certo che gli elettori lo seguiranno, o che lo seguiranno tutti quanti. Sono elettori inerziali, ma più esigenti degli elettori di destra. La loro ostilità alle grandi intese, testimoniata dai sondaggi, ne è una delle prove. Renzi ha preso il 40 per cento alle primarie, ma non per il suo discorso politico, che non c’è, ma perché voleva liquidare una dirigenza esausta.
Il problema è anche che i partiti non si improvvisano e che farne uno nuovo non è facile. Forse ne manca perfino il know-how. L’ideale, se il Pd proprio non ce la fa a sopravvivere, sarebbe una separazione consensuale tra un troncone più di centro e uno di sinistra. Più sopportabile per gli elettori. Tra loro le lacerazioni che ci sono nel gruppo dirigente sembrano non esserci.
Per qualsiasi rinnovamento – unitario o a due – servirebbe comunque uno sforzo corale. Pensiamo a un eventuale troncone di sinistra. La Cgil potrebbe aiutare. E sarebbe molto utile perché la manutenzione dell’elettorato, abitudinario per quanto sia, richiede organizzazione e radicamento sul territorio. Anche Landini e la Fiom sono spendibili e ci sono circuiti intellettuali che potrebbero concorrere. Puntando non solo a mantenere, ma pure a recuperare in tre ben precise direzioni: in primis gli elettori della defunta sinistra radicale (assassinata da Ingroia e da chi l’ha voluto per guadagnarsi un seggio), in secondo luogo i tanti elettori di sinistra che per protesta non hanno votato, o che hanno votato Grillo perché i sondaggi davano per scontata la vittoria di Bersani. Le parole d’ordine sono ovvie: lavoro, democrazia, moralità. Ma bisogna trovare gli uomini. Non il leader, perché del leader ne abbiamo avuto abbastanza. Serve un gruppo dirigente, sinceramente disposto a collaborare attorno a un progetto politico discusso approfonditamente e condiviso e che non offra solo opportunità di carriera ai suoi membri.
Naturalmente, allo stato degli atti, l’eventualità di una scioglimento consensuale del Pd è alquanto improbabile. È più facile prevedere una rissa da osteria, anche perché elettoralmente il troncone moderato sa di non valere poi così tanto. È vissuto parassitariamente sull’ala sinistra. Per fortuna, niente sta scritto. Vedremo.
Rodotà
Uno con la storia di Rodotà può accettare di essere candidato da Grillo? Può un sincero difensore della Costituzione farsi candidare da uno che immagina una democrazia senza partiti? Scalfari ha torto sul preteso antieuropeismo dei grillini, ma qualche ragione ce l’ha. Il Pd ha cercato nientemeno che i voti della Lega, che è un partito razzista, che quanto a europeismo non brilla ed è pure antimeridionale. Era pronto a un accordo con Berlusconi, che è un personaggio che non ha bisogno di commenti. Perché mai non accettare una candidatura proposta da Grillo? Il quale per tante ragioni è meglio di Berlusconi. L’etichetta di populista che gli hanno appiccicata è inappropriata e le cose che dice nel suo contributo Francesco Pallante sono condivisibili appieno: Grillo esprime il malessere del paese. Salvo che ha deciso di giocare in maniera molto pesante il suo capitale elettorale ed è questo che avrebbe dovuto indurre Rodotà alla cautela.
Tra tanti nomi che sono stati fatti, Rodotà era quello che avrei preferito. Sarebbe stato una garanzia di lealtà alla Costituzione. Ma per le ragioni addotte sopra, Bersani non poteva candidarlo. Francamente, una volta che il Pd ha candidato Prodi, che era il candidato più inviso a Berlusconi, da Rodotà ci si sarebbe potuti aspettare un passo indietro. Non averlo fatto è stato un errore politico. fatto. Perché lo ha fatto? Vai a entrare nella testa della gente. È possibile che non abbia rinunciato perché non gliel’hanno nemmeno chiesto (cosa che mi sarei aspettato dal Pd, come mi sarei aspettato che prima di fare il nome di Prodi il Pd avesse ottenuto qualche garanzia da Grillo). Non si può comunque non notare anche negli uomini migliori una qualche mancanza di generosità. Si fa politica per prestare gratuitamente un servizio, almeno in linea di principio. E oggi con Prodi al Quirinale staremmo magari un po’ più tranquilli-
Ad ogni buon conto, visto che è sciocco rinvangare, Rodotà ha accumulato tanti meriti e resta una risorsa preziosa. C’è da augurarsi dunque che lui, coerentemente con la sua storia, dia una mano a salvare il patrimonio elettorale della sinistra italiana. L’hanno messo al centro della scena. Esercita, o può esercitare, una qualche autorità morale sui grillini. Ha detto parole ineccepibili sul ruolo del Parlamento e contro le marce su Roma. I vendoliani l’hanno votato. Per favore, che si provi a recuperarlo tutta la sinistra.
Cultura politica
Quattro idee che hanno orientato l’ultimo ventennio hanno fatto definitivo fallimento. Il bipolarismo, il maggioritario, la leadership personale, la governabilità. Non so se nel mondo dei social network e dei media si possa fare a meno della leadership personale, ma l’idea di un’organizzazione politica retta collegialmente andrebbe coltivata da chi respinge l’idea della democrazia plebiscitaria. Tanto più che la leadership personale è un imbroglio. Tolto Berlusconi, che è il proprietario del Pdl, dalle altre parti non c’è né leadership, ma neppure collegialità. Prosperano invece complicità costosissime. Il leader regge finché è circondato da complici, che deve remunerare e che lo abbandoneranno quando parrà loro conveniente. Bersani ne ha fatto le spese. In Inghilterra, si dice, non capita. L’obiezione è irrilevante. Al momento da noi succede e bisogna tutelarsene.
Il secondo cadavere è il bipolarismo, che ormai è stato rimosso dagli elettori e che si spera non sia riesumato. Il terzo cadavere è il maggioritario, acriticamente sposato in nome della governabilità. Va bene che bisogna governare, ma non dimentichiamo neppure che in una società pluralistica la politica è necessariamente compromesso. O i compromessi si fanno dentro i partiti (o gli schieramenti), o si fanno tra partiti (e tra schieramenti). Per qualche ragione, difficile da intendere, in Italia i compromessi dentro i partiti non funzionano. Che ci si contenti perciò dei compromessi tra i partiti, smettendo di gridare sempre all’inciucio, come le oche del Campidoglio. Si facciano però compromessi alla luce del sole. È vero, per fare compromessi con Berlusconi ci vuole stomaco. Ma non è detto che si debba farli con lui. Con un sistema elettorale che eviti premi di maggioranza, i quali distorcono le forze in campo, probabilmente appariranno altri interlocutori. Constatiamo comunque per intanto che anche Grillo nutre una vocazione maggioritaria, esattamente come Veltroni: Berlusconi ringrazia anche lui.
Il quarto cadavere è la governabilità. Ovvero: la teoria secondo cui l’unica cosa di cui un partito deve preoccuparsi è di stare al governo. Se non stai lì non conti nulla. Non è affatto vero. La storia (dimenticata) dei partiti era fatta del loro radicamento sociale. Il radicamento era una forma di potere e di governo (dall’opposizione), in grado di contrastare con efficacia anche gli esecutivi provvisti della maggioranza più solida. Questo modo di far politica si è dissolto – anzi lo è stato. Che non si debba riscoprirlo? La politica è fatta anche di lotte sociali, non solo di esibizioni mediatiche.
Repubblica presidenziale
Non serve. E sarebbe rischiosissima. Anche se in tanti hanno ricominciato a invocarla, insieme al doppio turno. Immaginatevi una corsa a tre: Berlusconi, Renzi, Grillo. Oggi come oggi, il secondo turno sarebbe tra Berlusconi e Grillo. Chi scegliereste tra i due? [Tra parentesi: c’è da chiedersi se davvero si possa aver fiducia negli elettori. Chi scrive ne ha sempre meno, anche se non ne da la colpa agli elettori. Una volta i partiti svolgevano un’azione preziosa di informazione e di educazione, ne rendevano coerenti le sparse volontà. Per l’elettore il partito era un principio di identificazione e una scorciatoia cognitiva. Qualcuno dirà che gli elettori erano manipolati. E probabilmente è anche vero. Ma sono meno manipolati adesso che sono esposti in via esclusiva ai media e ai messaggi populisti che amano trasmettere? Gli elettori restano nell’insieme leali, se non al partito, all’area politica, ma sono anche frastornati e bastano piccole oscillazioni a dettare il risultato elettorale. Dobbiamo fidarci degli elettori senza partiti? Non dimentichiamo cosa capitò in Francia nel 2002. Se Jospin fosse arrivato secondo al ballottaggio, invece di Le Pen, avrebbe verosimilmente vinto le elezioni e la storia europea avrebbe preso forse una piega diversa. Quindi, non mettiamo in mano agli elettori la scelta del Capo dello Stato].
Una domanda conclusiva
Perché mai solo Grillo usa la piazza, malamente – è anche una piazza tutta virtuale – per far politica? Perché non si prova mai a radunare il patrimonio elettorale della sinistra nelle piazze e ci si deve contentare dei flash mob spontanei e occasionali, che non servono a molto? Qualcuno ricorda il 25 aprile 1994 a Milano? Purtroppo fini lì, anche se dimostrò l’esistenza di un potenziale di opposizione imponente a Berlusconi. La situazione attuale non è meno grave di quella.