di Francesco Scacciati
I.
La frase del presidente della Repubblica: «Se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese» è una minaccia per metà spuntata se non sarà stata votata al più presto una efficiente riforma elettorale. Il presidente può infatti brandire l’arma delle dimissioni, non quella dello scioglimento delle camere e dell’indire nuove elezioni: tornare a votare con questa legge elettorale sarebbe ridicolo, in quanto non farebbe, con ogni probabilità, che riproporre l’attuale situazione, magari con parti invertite alla camera.
Per rendere realistica la minaccia dello scioglimento delle camere occorre dunque che venga approvata una nuova legge elettorale, radicalmente diversa da quella attuale. Per questo motivo è poco probabile che i parlamentari la votino.
II.
Un sistema elettorale deve poter soddisfare, al massimo grado possibile, due esigenze (che sono anche valori): quella della rappresentatività e quella della governabilità.
La massima rappresentatività – cioè riprodurre in parlamento, tramite l’intermediazione dei partiti (o dei movimenti) che si sono presentati alle elezioni, le opinioni politiche in proporzione alla loro consistenza nel corpo elettorale – è realizzabile tramite un sistema proporzionale puro, senza alcuna soglia minima o sbarramento. Ogni partito ha in parlamento la medesima percentuale di seggi che ha ottenuto in termini di voti sul totale dei voti espressi. Con l’attuale numero di 630 deputati, un partito che avesse ottenuto lo 0,16% dei voti conquisterebbe dunque un seggio alla camera. In questo modo la stragrande maggioranza degli elettori si sentirebbe rappresentata in parlamento. D’altro canto, per esprimere un governo andrebbe creata una maggioranza cercando alleanze tra gli schieramenti così eletti. Tale maggioranza sarebbe quasi certamente fragile e sottoposta a influenze e ricatti dei partiti minori, indispensabili però al raggiungimento della stessa: la governabilità sarebbe dunque assai ridotta, sottoposta a veti incrociati e a frequenti crisi di governo.
La massima governabilità, viceversa, è realizzabile tramite un sistema maggioritario puro, a collegio unico nazionale, nel quale chi vince prende tutti i seggi. L’assenza di opposizione in parlamento rende questa ipotesi puramente teorica, ma un altissimo grado di governabilità è realizzabile con sistemi che, distorcendo in maniera molto significativa il principio della proporzionalità, assegnano al partito che ha conseguito la maggioranza relativa un ampio premio di maggioranza – che implica una larga maggioranza dei seggi – così com’è con l’attuale sistema elettorale (detto porcellum) in Italia per la sola camera dei deputati. Invece, un sistema maggioritario su più collegi territoriali non garantisce la governabilità, a meno che non ci sia un perfetto bipartitismo. Lo stesso vale per un sistema con premio di maggioranza su più collegi e senza bipartitismo, così com’è in Italia con l’attuale sistema elettorale per il senato.
III.
Ricapitolando, l’attuale legge elettorale italiana ha prodotto una camera “ultra-governabile” (dove per “governabile” si intende che è in grado di esprimere una solida maggioranza), ma anche il monstrum di una coalizione che con il 30% dei voti ha il 55% dei seggi; e un senato “ingovernabile”, con un meccanismo che ha prodotto una distribuzione di seggi tra le coalizioni che si avvicina a quella che si avrebbe con un sistema proporzionale, fatta salva una certa sovra-rappresentazione, non determinante, dei due partiti maggiori. Essendo quello previsto dalla costituzione un bicameralismo perfetto, i due rami del parlamento, assieme, creano un’ingovernabilità, che è stata superata solo grazie alla rielezione di Giorgio Napolitano e all’alleanza, contro natura, dei due partiti maggiori delle due contrapposte coalizioni, con la conseguente liquefazioni delle stesse coalizioni che hanno condotto la campagna elettorale.
IV.
Provo ora a immaginare, a grandi linee e dunque senza entrare troppo nei dettagli, una riforma elettorale che massimizzi i gradi di rappresentatività e di governabilità che si possono ottenere contestualmente con un unico sistema elettorale.
Ipotizziamo un sistema a doppio turno.
Il primo turno, perfettamente proporzionale, assegna il 60% dei seggi senza sbarramento, o con uno sbarramento molto basso, magari non in termini percentuale ma assoluti: per esempio 200.000 voti, pari a circa lo 0,6% dei voti espressi nelle ultime elezioni. Ciò garantisce che tutte (o quasi tutte) le forze politiche, e dunque le opinioni degli elettori, siano rappresentate in parlamento.
Al secondo turno, a collegio unico nazionale, accedono i primi due partiti, o le prime due coalizioni. Chi vince il ballottaggio si aggiudica tutti i seggi rimanenti. Chi scrive ha una leggera preferenza per la seconda ipotesi, in quanto la prima implicherebbe fusioni tra partiti solo al fine di strategie elettorali, con probabili scissioni subito dopo le elezioni. D’ora in poi parlerò dunque di coalizioni, ma il lettore, se preferisce, può sostituire tale termine con “partiti”.
Questo sistema ha due grossi vantaggi rispetto a quello che assegna un cospicuo premio di maggioranza:
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la coalizione che governerà il paese avrà almeno il 50% + 1 dei consensi dei votanti, seppure solo al secondo turno; in altre parole governerà lo schieramento che sarà stato preferito dalla maggioranza assoluta degli elettori, messa di fronte alla scelta secca tra due schieramenti contrapposti (e da qui deriva la legittimazione della maggioranza assoluta dei seggi). L’argomento contrario secondo cui al ballottaggio potrebbero non votare molti di coloro che hanno votato al primo turno rendendo pertanto esigua la percentuale di voti attenuta dal partito vincente sul totale degli aventi diritto al voto non regge, in quanto in tutti i sistemi elettorali del mondo sono rilevanti solo i voti espressi;
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la coalizione che avrà ottenuto la maggioranza relativa al primo turno potrà essere battuta al secondo turno se la maggioranza assoluta degli elettori ritiene che un governo guidato da tale coalizione sia la peggiore tra le alternative possibili.
V.
Come ho detto in precedenza, questa è una proposta di carattere generale, e dunque trascura quasi tutti i dettagli, alcuni dei quali sono di vitale importanza:
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innanzitutto non prende in considerazione la dibattuta questione del mono o bi-cameralismo. Certo è che se si vuole garantire con assoluta certezza la governabilità, si dovrà passare a un sistema mono-camerale, oppure attribuire al senato competenze molto diverse da quelle attuali, oppure rendere identico sia l’elettorato attivo di camera e senato sia il meccanismo di attribuzione dei seggi. Occorre cioè evitare che si possa creare una maggioranza di un tipo alla camera e di un altro al senato;
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non è presa in considerazione nemmeno la questione della riduzione del numero dei parlamentari: il meccanismo proposto funziona, ovviamente, con qualunque numero di deputati e senatori;
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non si affronta la questione delle preferenze o delle liste uninominali;
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infine, l’attribuzione del 60% dei seggi al primo turno e del 40% al secondo è un’ipotesi del tutto arbitraria: possono essere ovviamente fissate quote diverse. Questa tende a privilegiare il principio della rappresentatività, ma ha un punto debole. È possibile, seppure molto poco probabile, che la coalizione che vince il ballottaggio non raggiunga la quota fatidica del 50% + 1 dei seggi, vanificando dunque l’obiettivo della governabilità. Infatti, se essa non avesse raggiunto il 16,7% dei voti al primo turno, conquisterebbe meno del 10% del totale dei seggi al primo turno, che, sommati al 40% del secondo turno non le permetterebbero di arrivare al 50% + 1 dei seggi. Questo inconveniente non può verificarsi, ovviamente, qualora il primo turno (proporzionale) aggiudicasse solo il 50% dei seggi e il secondo (maggioritario) il rimanente 50%.