di Giacomo Ortona
Silvio Berlusconi e il PDL
Chiaramente il vincitore di questa fase è Silvio Berlusconi. Sia per meriti suoi, sia per l’insipienza degli avversari (o meglio, del PD) è riuscito per l’ennesima volta a risorgere dalle sue ceneri, e a questo punto appare ormai chiaro come larghi strati del PD facciano di tutto per tenerlo in vita. Difficile dire quale sia il più importante dei numerosi colpi messi a segno dal leader di Arcore.
Non potendo ormai il PD né andare al voto, né disattendere le richieste di Napolitano, il nuovo governo nasce politicamente ostaggio di Berlusconi che potrà, da un lato, imporre politiche che compiaceranno l’elettorato di destra (guadagnando consenso) e, dall’altro, con la sponda montiana, costringere il PD a fustigare l’elettorato di sinistra (lavoro dipendente, pubblica amministrazione, cultura), facendo ulteriormente perdere consenso ai suoi rivali. È ancora da vedere se riuscirà a imporre al PD l’umiliazione finale di dover votare la fiducia agli “impresentabili” Brunetta, Alfano, Schifani e Gelmini, ma questa sarebbe solo la ciliegina sulla torta, una gratuita dimostrazione di potere.
Come se questo non fosse abbastanza per dichiarare vittoria, per ovvi motivi anagrafici la riconferma di Napolitano al Quirinale consegna al prossimo Parlamento, che con ogni probabilità avrà un’ampia maggioranza di PDL e Lega, il compito di eleggere il prossimo Presidente della Repubblica. Sembra quindi che Berlusconi si appresti a riuscire a farsi eleggere al colle più alto. Il PD potrebbe completare l’opera insistendo sulla strada del presidenzialismo (ancora rilanciata da Renzi il 22 aprile.
Il Pd
Vennero per suonare e furono suonati. Molti fanno risalire buona parte dei problemi di questa fase alla mancata vittoria elettorale del PD il 24 febbraio. È utile ricordare che questa “non vittoria” è figlia di una campagna elettorale che definire debole è un eufemismo. Non solo, ma Bersani si è molto preoccupato in campagna elettorale di rassicurare sul fatto che in ogni caso, indipendentemente dall’esito del voto, avrebbe governato assieme ai centristi di Monti. Una linea sicuramente non troppo condivisa dall’elettorato e che si è infranta nelle urne, ma che poi è ritornata in auge nella fase post voto. Il pezzo di partito che sosteneva questa linea ha dapprima ottenuto la candidatura di Marini, indi ha affossato Prodi e, infine, ottenuto la vittoria eleggendo Napolitano. In realtà, che la linea del PD fosse quella “grancoalizionista” lo dimostra il fatto che la trattativa con Grillo non è mai andata oltre a una comunicazione del PD al M5S la cui sostanza era «Dovreste votare per Bersani a Palazzo Chigi, altrimenti sarete complici di Berlusconi» (un refrain che il PD ha utilizzato spesso nei confronti dei partiti e dell’elettorato di sinistra, ma che è risultato meno efficace coi grillini). Al contrario, la trattativa col PDL è arrivata a far scegliere il Presidente della Repubblica a Berlusconi, per quanto all’interno di una “rosa” del PD. Da tutto questo emerge un aspetto che a parere di chi scrive è molto preoccupante, e forse sottovalutato: appare chiaro che ci sono delle forze che agiscono sul PD e che sono sufficientemente potenti da far sì che il partito (o meglio, gran parte del partito) preferisca correre il rischio di spaccarsi, la quasi certezza di perdere le prossime elezioni, inimicarsi la sua base e il suo elettorato (sia in campagna elettorale che dopo) piuttosto che rinnegare l’abbraccio mortale di Monti e Berlusconi, persino di fronte alla prospettiva di consegnare la prossima Presidenza della Repubblica proprio a Berlusconi. Sarebbe utile che l’elettorato di centrosinistra si interrogasse sulla presenza e sull’identità di tali forze, perché una tale complicità ed asservimento ai piani di Berlusconi non si può spiegare solo con l’inettitudine della classe dirigente del PD.
In ogni caso, il PD adesso fingerà di ricompattarsi in attesa di un congresso. La minaccia di espulsione per chi non sosterrà il governo Letta è particolarmente efficace e c’è da attendersi che le defezioni saranno poche. Renzi è già indicato come leader in pectore e non appaiono sfidanti veri all’orizzonte. Il fatto che il PD tenga dal punto di vista congressuale non vuol dire però che terrà anche dal punto di vista elettorale. La sua base è già molto insofferente e potrebbe essere finalmente sensibile ai richiami di una sinistra seria e presentabile.
Prodi, Renzi e D’Alema
Renzi fu tra gli sponsor della candidatura di Prodi al Quirinale. Tra i numerosi grandi elettori del PD, i renziani sono circa una cinquantina. Di questi, 28 han votato «Prodi Romano», quindi più di 20 voti mancano all’appello. Il fatto che Renzi non riesca a mantenere la disciplina tra i suoi grandi elettori è abbastanza logico. La sua è la corrente più eterogenea del PD: si tratta sostanzialmente di seconde linee ambiziose, cui si aggiungono quelli che Civati definisce “quelli-di-sinistra-che-odiano-la-sinistra” (per non dire che in realtà sono di destra) e i giovani rottamatori, non una pattuglia ideologicamente compatta. Questa composizione però non lo può certo rassicurare in vista del congresso, e credo che la scarsa tenuta del suo gruppo spieghi molto della sua faccia preoccupata dopo l’affossamento di Prodi. Si tratta comunque di una defezione “minore”. Gli 80 voti che sono mancati a Prodi vanno ricercati tra coloro che da sempre sponsorizzano le intese con Berlusconi, come D’Alema.
SEL
In parlamento SEL per ora ha brillato per coerenza, intelligenza e capacità. D’Alema ha (ri)provato a uccidere Prodi scaricando le colpe sulla sinistra irresponsabile, ma questo giro Vendola lo ha battuto in furbizia facendo “firmare” le schede. Ha pervicacemente sostenuto il migliore tra i possibili presidenti (Rodotà), ma è riuscita a dar prova di fedeltà alla coalizione votando Prodi quando è stato il momento. In questo è riuscita a far affiorare tutte le contraddizioni del PD, e se continua così potrebbe davvero diventare la risorsa attorno a cui aggregare la sinistra.
Rodotà
Sarebbe stato un ottimo presidente della Repubblica, e l’ideale via di uscita da questa situazione. È stato il candidato di Grillo e di Vendola, ma soprattutto una candidatura invocata a gran voce da tutto il popolo della sinistra. I giovani del PD hanno occupato le sedi del partito invocando il suo nome e derubricarlo a “candidato di Grillo” come fanno molti è un’offesa alla ragione.
Se è diventato il candidato di Grillo (e di Vendola) questo da imputare unicamente al PD. Il Partito Democratico avrebbe dovuto appropriarsi di quel nome, e di quello che quel nome significa (ricordiamoci che l’alleanza di centrosinistra si chiamava «Italia Bene Comune»), immediatamente o anche dopo il fallimento di Marini. A far diventare Rodotà il candidato di Grillo sono state l’ostinazione e la pervicacia del gruppo dirigente del PD nell’ignorare le richieste del proprio elettorato. Evidentemente c’erano pressioni molto forti su questo gruppo dirigente perché una candidatura del genere non passasse, al punto che si è fatto finta di non sentire l’insistente domanda «Rodotà perché no?». Si è arrivati alla meschineria di chiamare la figlia di Rodotà (non lui, la figlia!) perché convincesse il padre a ritirarsi. Ma perché avrebbe dovuto ritirarsi? Perché Grillo è impresentabile e quindi il 25% degli italiani che lo hanno votato non meritano ascolto? Derubricare il M5S a forza anticostituzionale è ingiusto soprattutto nel momento in cui si elegge un Presidente della Repubblica e, fino a ieri, si sono fatti con la Lega Nord. Rodotà godeva quindi dell’appoggio della base del PD, di M5S e SEL. Cinque Stelle e SEL assieme hanno più voti del PD. Perché dovrebbero essere sempre gli altri a convergere sul candidato del PD e mai i democratici a convergere su quello degli altri?
Napolitano
Sarebbe ingiusto dimenticarci che se ci troviamo in questa situazione è in gran parte colpa sua. Il peccato originale è stato quello di non sciogliere le camere due anni fa per consegnarci alla fallimentare esperienza del governo Monti (sonoramente bocciato alle elezioni). Il presidente della Repubblica ha perseverato nell’errore, prima abusando il più possibile dei suoi poteri, sostenendo anche dopo l’insediamento del nuovo Parlamento che il governo Monti fosse nella pienezza dei suoi poteri in quanto mai sfiduciato, indi non dando a Bersani l’incarico di formare il governo e, infine, ripresentandosi dopo appena 5 scrutini per la rielezione, impedendo di fatto l’esplorazione di altre opzioni (come Rodotà).
Sembra che Napolitano sia incapace di vedere che la sua ossessione ideologica per le larghe intese non è apprezzata dall’elettorato, né è utile per il paese, aver accettato la rielezione spiana oggi la strada a una Presidenza targata Berlusconi domani.